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DOCUMENTI - GLI INTERVENTI |
Un abbraccio disgustosoAbbiamo saputo dell’iniziativa di due fascisti che si propongono di chiamare a raccolta parenti e genitori di vittime della violenza politica del secondo dopoguerra, sia di destra sia di sinistra, per abbattere almeno fra i morti qualsiasi distinzione. Abbiamo deciso di dare una risposta pubblica e dal significato inequivocabile. Ecco di seguito la “lettera ideale” che la redazione del sito spedisce a tutti i parenti delle vittime chiamati in causa da questa improvvida e subdola proposta. La intestiamo cumulativamente a un “fratello”, termine che, per l’occasione, racchiude in sé idealmente tutti i gradi della parentela e forse anche qualcosa di più. La indirizziamo a tutti i morti assassinati da questa parte politica, i fascisti, a partire dalle vittime delle squadracce del 1922, a Giacomo Matteotti, a Piero Gobetti, ai fratelli Rosselli per arrivare fino ai giorni nostri con le vittime delle stragi, delle coltellate, delle armi di funzionari ideologizzati e così via. Un filo rosso di sangue unisce queste vite stroncate. Caro ...fratello, ti scrivo questa lettera perché ho saputo che sei stato invitato alla manifestazione “urla dal silenzio” organizzata da Marco Falvella e Giampaolo Mattei. Ho letto il prospetto di questa iniziativa che avrebbe lo scopo di creare un fronte comune di famigliari dolenti che ricordano i propri cari, morti in una fase complicata della storia del nostro paese (iniziata secondo me nel 1922 con l’ascesa dei fascisti al potere) che sembra attuale, attualissima anche ora. “La prima vera occasione di confronto che vuole parlare alla destra e alla sinistra….le vittime non hanno colore…. , scrivono i due ideatori di questa iniziativa, ed è giusto che vengano ricordate insieme, mescolate nel sangue comune che hanno versato”. Di conseguenza, dicono i due, superiamo le barriere della sinistra e della destra e uniamoci per ricordare uniti i nostri cari che si sono scannati chi da una parte della barricata chi dall’altra. Per puro caso i due promotori sono fascisti. Non inconsapevoli parenti, fratelli delle vittime, fratelli non politicizzati che si sono trovati in qualcosa di più grande di loro, ma fascisti, gente che ha un bisogno estremo di legittimazione formale. Sostanziale no, tanto è vero che chiamano “imbecille” chi non è d’accordo con loro e “auspicano di recuperare la forza di una idealità (la loro) che neghi e superi la società vuota ed edonistica (priva dei “loro valori”) e che andrà utilizzata per dare futuro alla comunità cui si appartiene” (firmato, Evola?) Ma non voglio fare dietrologia e mi fermo alla prima affermazione per negarla: i morti non sono tutti uguali. Non i morti per motivi politici. La lunga stagione che ci ha visti protagonisti se non altro ha stabilito con una qualche certezza che alcuni lottavano per ideali elevati, spinti da generoso altruismo e senso sociale, per difendere la democrazia da fascisti e golpisti, gli altri si organizzavano per trame abiette, per stabilire di nuovo una dittatura, per ostacolare il progresso sociale, distruggere la democrazia, la Costituzione nata dalla Resistenza. E lo hanno fatto con le stragi e gli omicidi, con la copertura della polizia, dei servizi segreti e di parte delle istituzioni (governi, magistrati, prefetti, questori ecc). Molti di noi sono stati vilmente accoltellati a morte dai fascisti, massacrati dai camion dei carabinieri o della polizia, raggiunti da proiettili sparati per uccidere. Questo se non prendiamo in considerazione il fatto che l’Italia è stata per 20 anni, dal ‘24 al ‘44 in balia di un odioso regime che fin dall’inizio ha avuto la violenza come metodo di persuasione, che ha ucciso parlamentari e oppositori, in Italia e all’estero, che ha portato morte nelle terre che ha invaso. C’è di più. Dopo l’8 settembre i fascisti sono stati i sanguinari servitori delle truppe di occupazione e ben lungi dal combattere si sono limitati a indicare agli aguzzini chi dovesse essere deportato, ucciso, torturato. Sono stati i peggiori nemici del nostro popolo. Nel dopoguerra le stragi. Portella della Ginestra, luglio 1960, piazza Fontana, piazza della Loggia, l’Italicus , la stazione di Bologna, per citare solo gli episodi più clamorosi, hanno fatto gridare per la disperazione i cuori dei nostri fratelli, amici, concittadini. E gli autori sono stati sempre loro: i fascisti e i loro alleati. Ma i morti non hanno colore, dicono i due fascisti che propongono le fosse comuni. E invece ce l’hanno il colore! Ed è per questo che sono morti. Ma mi preme chiarire anche un’altra questione. Ognuno di noi vive una vita nella quale esprime se stesso, ciò che è, ciò che vorrebbe essere, gli affetti, l’amore, gli amici, tutti coloro che sceglie come rapporti sociali al di fuori della nicchia famigliare,insomma, la propria visione del mondo, Quando uno dei nostri cari muore noi ci premuriamo di ricordarlo con queste loro caratteristiche. La morte non è l’indistinto nel quale annegare le differenze, anzi, “a Giorgio piaceva tanto andare alla partita, Claudio voleva un mondo migliore, Giannino difendeva la democrazia, Roberto voleva stare in pace con gli amici in una società giusta, Gaetano desiderava che la ferocia scomparisse dal mondo, Alberto amava i genitori ma comprava il “Corriere rosso” e così via”. Ognuno dei nostri morti lo ricordiamo per la sua caratteristica eminente. E per i famigliari queste caratteristiche sono ancora più importanti, e magari dopo la morte del loro caro scoprono tante cose, tante amicizie, tanti rapporti sociali dei loro figli e fratelli. Chi mai di noi, a parte Lela, conosceva la mamma di Claudio? E improvvisamente una brava mamma alla quale un fascista ha ammazzato un figlio scopre che questo figlio ha centinaia di migliaia di amici, di compagni, di gente che gli vuole bene anche se magari non lo conosce, lo ama perché é un “rosso”, e questa gente il giorno dopo sfida gli assassini fascisti e i loro protettori in divisa grigia per ricordarlo, per gridare il proprio dolore e la rabbia per un delitto che resterà impunito. E magari muore anche qualcun altro, lì, mentre lo ricorda. E il giorno dei funerali chiudono le scuole, le università, le fabbriche, e un milione di persone di tutti i colori politici escluso il nero dei fascisti, sono presenti a abbracciare e salutare i ragazzi morti. Questo è ricordare. Far rivivere chi scompare unendo i ricordi. Quelli che noi ricordiamo hanno una caratteristica in comune, una “essenza” che non può essere negata: sono antifascisti, democratici, socialisti, comunisti. La cosa che li caratterizza e li unisce è questa. Perché dovremmo dimenticarla? Perché mai dunque i morti non hanno colore? Il colore ce l’hanno eccome, è lo stesso che avevano in vita. Ognuno di noi é la propria storia e non si capisce per quale disegno perverso dovremmo rinnegare la storia dei nostri cari, morti per un ideale, il loro ideale, morti non in un incidente sull’autostrada, ma perché li hanno ammazzati, morti perché erano qualcosa: militanti antifascisti, democratici, socialisti o comunisti. Il giorno per ricordare “tutti i morti”, anche quelli deceduti per una appendicite o di vecchiaia, c’è già, è il due novembre! Quale atroce beffa sarebbe per loro, per i ragazzi che sono stati uccisi, assassinati, sfracellati sull’asfalto o fra le lamiere di un treno disintegrato, finire in una fossa comune con i loro aguzzini, vedere i loro cari, gli amici, i parenti, che con ributtante cinismo buttano a mare il loro ricordo, la loro essenza, la loro vita. Credimi . . fratello…, sarebbe come ucciderli una seconda volta. Da qui nasce il mio rifiuto totale di una iniziativa becera, priva di senso, disgustosa, che rientra nel reiterato tentativo di parificare i Partigiani che lottavano per la liberazione del Paese ai feroci servi degli invasori, a gentaglia assassina che voleva che il nostro popolo rimanesse schiavo in eterno. E’ il tentativo di mettere sullo stesso piano i giovani (della Nuova Resistenza) che hanno lottato per un ideale di solidarietà e giustizia con la teppa che li ammazzava. E poiché anche il male comporta i suoi rischi, a volte finivano ammazzati anche loro. Era una battaglia fra “la meglio gioventù”, in sintonia con il paese, che voleva giustizia e libertà contro gruppi di teppisti al servizio di reazionari terroristi che tramavano nell’ombra e uccidevano proditoriamente tutti, militanti e gente comune. Naturalmente tu, .. fratello. . sei libero di decidere come preferisci in un senso o nell’altro. Ma prima di farlo prova ad avviare un dialogo con tuo fratello che non c’è più, quel dialogo che non hai potuto avere mentre era in vita perché un fascista o un poliziotto gli ha sparato ferendolo a morte, e nel corso di questo dialogo immaginario chiedi a lui, guardalo negli occhi e guardati in fondo al cuore. Un abbraccio, |