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In ricordo di Luca Cafiero |
BLOG - NEWS |
Domenica 13 Marzo 2016 20:46 |
Per molti di noi che si affacciavano alla meravigliosa esperienza “del sessantotto” da giovani adolescenti assetati di conoscenza e partecipazione avendo come riferimento l’Università Statale e il Movimento Studentesco, Luca Cafiero era una figura mitica, il dirigente politico, il responsabile organizzativo; tanto era il rispetto che arrivava a lambire la soggezione. (nella foto: Luca Cafiero, Salvatore Toscano e Giannino Zibecchi) Care compagne e cari compagni, vi ringrazio per la grande manifestazione di affetto e di stima; mi ha fatto molto piacere, profondamente toccato e – lo confesso – anche tanto lusingato. Grazie anche, questo a nome di tutti noi, ad Agnese, Patrizia, Ezio e Sergio, che si sono assunti gli oneri organizzativi. E c’è pure un secondo motivo per il quale vi sono grato, che cercherò di esprimere in poche parole, poche perché credo siano già implicitamente presenti in ognuno di noi. Vedete, noi siamo stati uniti in un comune impegno per un periodo non breve (non dimentichiamo che già nel 1967 era in atto la sperimentazione di Architettura), ma da allora è trascorso un tempo ancor più lungo di quello passato insieme. Intanto sono avvenuti grandi cambiamenti e modificazioni, per dirla in breve si è chiusa la fase politica nella quale operavamo, si sono verificate trasformazioni di vasta portata, è crollato il sistema dei partiti che conoscevamo, sono mutati parametri e conseguentemente opzioni. Ma nonostante la portata di queste trasformazioni quel primo lontano periodo continua a inviarci elementi positivi: certo, solidarietà fra di noi, lunghe e salde amicizie, ma soprattutto qualcosa di più profondo e importante, una serie di tratti identitari – non necessariamente solo formativi – che ognuno porta con sé a modo proprio. Tutti questi elementi positivi ce li siamo costruiti con l’impegno politico in momenti difficili della storia del nostro Paese, in situazioni spesso molto difficili, pagando il prezzo di tragici lutti. Se siamo riusciti a realizzare qualcosa non lo dobbiamo solo né tanto al fatto che eravamo allora ragazze e ragazzi di buoni sentimenti e buona volontà, ma perché – di questo sono convinto – abbiamo, nonostante ingenuità ed errori, praticato una buona politica. Intendo una politica di valori, di progettualità alte e ambiziose, e soprattutto di analisi critica che rifiutava le semplificazioni sloganistiche e la facilità “apparente” degli estremismi, e vi ricorderete quanti ne circolavano, con aspirazioni utopisticamente egemoniche: ce n’erano di più innocuamente “infantili” e altri invece di pericolosi e dannosissimi, come poi si è visto; una politica che riteneva l’approfondimento teorico, lo studio e il sapere non un di più, ma una componente essenziale per ogni progetto di cambiamento; una politica capace di assumersi la responsabilità di scontri molto duri in difesa delle agibilità democratiche e di libertà di manifestazione; una politica di disinteresse personale. Tutto questo è stata opera comune – sia chiaro non intendo escludere nessuno – ma per innescarsi e svilupparsi ha avuto un grande debito con l’intelligenza politica, l’acutezza, le doti culturali dell’amico e compagno Toscano. Soprattutto decisive le sue capacità di cogliere quanto di nuovo maturava nel cuore dei rapporti sociali e di conformarvisi, essendo invece anticonformista rispetto alle varie forme di massimalismo diffuso, da quello dignitoso della vecchia cultura anarco-sindacalista a quello pretenziosamente riverniciato con una spruzzata di Grundrisse marxiani. Questo ha rappresentato una sorta di imprinting della nostra storia, caratteristico e decisivo. Poi le cose sono andate avanti: la buona politica proseguiva. Di Architettura si è già detto, il Collettivo di Medicina elaborava proposte sui nodi centrali della sanità pubblica, producendo in seguito eccellenze professionali; a Scienze Politiche si studiavano le relazioni fra comando ed egemonia nei rapporti sociali; a Lettere le ormai mitiche RAP si impegnavano in un lavoro di ricerca anche didatticamente rinnovata, nel rifiuto di atteggiamenti luddistici verso lo studio e il sapere. Infine – ma non voglio certo fare un elenco – troppo poco ricordati e valutati l’equilibrio e la sagacia con i quali le compagne della Commissione Femminile hanno saputo orientare, e orientarsi, nel terzo grande movimento che ha caratterizzato quella fase: movimento degli studenti, quello dei Consigli di Fabbrica e delle nuove forme di rappresentanza sindacale e operaia, movimento delle donne. E analogamente, secondo queste linee, centinaia e centinaia di compagni si impegnavano nelle principali città e regioni: il compianto Lai nel Veneto, Tonino Mulas in Lombardia, affiancato da Ezio Rovida, capace organizzatore e competente promotore di grandi kermesse musicali popolari, Massimo Bianchi e il suo prezioso impegno nella redazione di Fronte Popolare, Voltolini con le squadre di propaganda musicali, i bravissimi compagni di Spello, l’indimenticabile Parente in Emilia, Sergio Serafini con le sue doti organizzative e la graffiante ironia, Manti a Genova, Pettinari e gli studenti medi a Milano e poi a Roma, Castoro a Catania, Trotta a Bari, Mita a Ceglie Messapico, Gaudiano a Napoli, con gli straordinari pomiglianesi – e mi fermo qui perché ogni tentazione di completezza è sempre destinato a dimenticare qualcuno. Successivamente altre novità: si sono stabiliti nuovi rapporti politici, ci sono stati – com’è ovvio – discussioni e dissensi non superficiali, specialmente l’unificazione con il PdUP fu discussa a fondo e con passione. Essa si realizzò bene ed entrambe le due componenti del Nuovo PdUP si rafforzarono in parecchi sensi, come gli amici e compagni Latini e Calzolaio hanno scritto con brillante understatement nel loro libro sulle vicende del partito. Ma quell’imprinting ha continuato ad agire, le diverse scelte – quali che fossero- erano sempre basate sul tentativo di capire, di analizzare criticamente opzioni e prospettive. Questo in estrema sintesi l’insieme di positività da cui nasce e ci invia segnali la nostra storia. Cosa è stata? Se guardiamo non a come eravamo – benissimo, non eravamo così male – ma a cosa eravamo, mi viene in mente che se esistesse una tassografia politica per moltissimi versi noi siamo stati un élite politica: numero limitato di militanti, forme di adesione, tipo di militanza, rapporto fra gruppi dirigenti. Ma le élite – è noto – tendono alla parcellizzazione, quando non alla separatezza (in genere mediate da una forte acculturazione), e qui si colloca a mio avviso la nostra originalità: un élite che nasce da un movimento socio-politico di massa – da cui raccoglie la stragrande maggioranza dei militanti – al quale intende e cerca di fornire un progetto politico. Questo siamo stati e penso che vada mantenuto e conservato come significativo legato etico-politico. E questa è la seconda cosa più importante della quale volevo ringraziarvi: del fatto di essere oggi qui, con la vostra presenza, a renderne la migliore testimonianza. Grazie ancora, quindi, e a ciascuno un abbraccio naturalmente metaforico. LUCA CAFIERO N.B.: Il testo originariamente non è stato steso per iscritto, ma ricostruito sulla traccia di un discorso orale. Perciò mi scuso per le certe e inevitabili dimenticanze e omissioni. |