I DOCUMENTI Sito dell'associazione PER NON DIMENTICARE CLAUDIO VARALLI - GIANNINO ZIBECCHI https://pernondimenticare.net/documenti Thu, 28 Sep 2023 20:11:20 +0000 Joomla! 1.5 - Open Source Content Management it-it I DUE PROCESSI https://pernondimenticare.net/documenti/i-processi/284-i-due-processi- https://pernondimenticare.net/documenti/i-processi/284-i-due-processi- I DUE PROCESSI

Varalli

  • Il processo per l'omicidio di Claudio Varalli si svolge in primo grado il 5 dicembre 1978.

  • Antonio Braggion è dichiarato colpevole di eccesso colposo in legittima difesa putativa e dei reati continuati di detenzione e porto abusivo di pistola e quindi condannato a 10 anni carcere, di cui 2 condonati.

  • Il Pubblico ministero e i legali di Parte civile presentano appello contro la sentenza. Lo stesso fanno i legali di Braggion che avevano chiesto l'assoluzione per "legittima difesa".

  • Il processo d'appello si apre e chiude il 23 marzo 1981.
  • Antonio Braggion è dichiarato colpevole di eccesso colposo di legittima difesa putativa e di detenzione di armi, come in primo grado, ma in virtù della concessione delle attenuanti generiche la condanna scende a 6 anni e 200.000 lire di multa.
  • Il 26 ottobre 1982 la Corte di Cassazione dichiara prescritto il reato di eccesso colposo di legittima difesa. La condanna a 3 anni per la detenzione illegale della pistola usata per uccidere Claudio Varalli è interamente coperta dal condono.

 

  

Zibecchi

  • Il processo per l'omicidio di Giannino Zibecchi si svolge il 15 ottobre 1979, presso la IV sezione del Tribunale di Milano .
  • Sono rinviati a giudizio 3 carabinieri, imputati per " in concorso colposo fra loro aver cagionato la morte di Giannino Zibecchi per colpa aggravata dalla previsione dell'evento"
  • Il 27 ottobre 1979 la Corte rinvia tutti gli atti del processo alla Procura perché compia una nuova istruttoria che ridefinisca le responsabilità dei tre attuali imputati e consideri la responsabilità di ufficiali superiori.
  • La Procura, il 10 gennaio 1980, rimette gli atti alla Corte di Cassazione che, il 14 aprile successivo, accoglie l'opposizione e ritrasmette gli atti al Tribunale perché proceda nel giudizio.
  • La prima udienza viene fissata per il 12 novembre 1980.
  • Il giorno 27 novembre 1980 la Corte emette la sentenza: tutti assolti.
  • Questa sentenza mette praticamente fine al percorso giudiziario del "caso Zibecchi".

 

la vicenda processuale Zibecchi
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info@pernondimenticare.net (Administrator) I PROCESSI Sun, 05 Apr 2009 12:16:34 +0000
Intervista alla mamma di Claudio Varalli e al fratello Daniele (aprile 1995) https://pernondimenticare.net/documenti/interviste/302-intervista-alla-mamma-di-claudio-varalli-e-al-fratello-daniele-aprile-1995 https://pernondimenticare.net/documenti/interviste/302-intervista-alla-mamma-di-claudio-varalli-e-al-fratello-daniele-aprile-1995

Intervista alla mamma di Claudio Varalli e al fratello Daniele (aprile 1995)
 

(è la trascrizione di un'intervista realizzata per il video e propone tutte le caratteristiche del linguaggio parlato)

Daniele Varalli  - fratello di Claudio

Il mio ricordo è soprattutto l'ultimo giorno..io stavo dormendo come tutti i bambini che fanno il riposo pomeridiano..lui è uscito e poi è ritornato..era già giù dalle scale davanti al portone, è rientrato, mi ha salutato e poi è riuscito...come se si sentiva qualche cosa. Di solito si dice che uno ha delle sensazioni strane. Questo è il ricordo che mi rimane più in mente perchè per il resto...si i giochi che si facevano, però, avendo 6 anni ecc ecc non è che ci sono poi tanti ricordi, però questo, il fatto di uscire...

Mamma
..guardi alle 5.0 era ancora qui a casa. Ora che è andato a prendere il tram..non è come se fosse stato un giorno che dico, va bè, è stato fuori dalla mattina alla sera magari uno pensava un po' male, sa com'è, però era a casa, sarà stato le 5.00 che è andato via  "devo andare via, devo andare, è tardi, è tardi"...dopo mi è rimasto impresso quel fatto lì che è tornato indietro, ci ha fatto il bacio...”com'è, hai detto che è tardi..?” ci ho detto, Claudio che sei venuto su ancora,  e poi l'è 'ndà. E verso le 7 e mezza si è sentito quella cosa lì..
D- Come avete saputo?
Mamma- sono venuti qui due ragazzi della sua età, no forse qualche anno di più, e han detto.. io pensavo che si fosse fatto male, sarà così..un incidente con il motorino...neanche per sogno...ho messo dentro il pigiama, ho fatto su la borsa...una signora qui di dietro ( che oggi è morta poverina..).."vi porto io con la macchina" perchè ho cumincià a tremà...ho messo dentro il pigiama, ho fatto su la borsa e la signora mi ha accompagnato fin lì all'ospedale Fatebenefratelli. Io come sono arrivata, anche tutta di corsa, anche conciata sa....quando ho visto tutte le cose lì, tutti i giornalisti...sono crollata..."è successo qualcosa?"  ...sa quando uno arriva tutto di corsa, con la borsa di plastica...non sta li a guardare..ho visto tutta la gente...ho chiesto...”l'è 'nda, l'è nda”....mi han fatto una puntura...signora stia tranquilla, stia tranquilla...poi me lo han fatto vedere, io ho detto”:no, non me la sento”...mio marito lo hanno messo su una barella è andato...io sono andata poi un giovedì, dopo...però era bello..come prima, sorridente, non è che era...era li bell, sembrava neanche morto, solo che aveva quel buco lì...
D- come vivevate voi, lei e suo marito, le scelte politiche di Claudio: Claudio vi parlava..?
R- Si, Claudio, specialmente quando era piccolo, sa perché noi, specialmente io, sono molto di chiesa, lo avevo cresciuto...andava sempre all'oratorio, faceva il chierichetto, insomma era un ragazzo molto sensibile, iniziava da piccolo a pensare...mi ricordo che aveva 8 o 9 anni, o 10...mandavano via, sa quei sfratti, lui andava, io non volevo, sa com'è, però lui ha sempre avuto quella cosa della politica...Infatti lui alla mattina andava via presto perché andare fin la si alzava alla 6.30 e delle volte non veniva neanche a casa a mangiare..Anche alla domenica dicevo:."Perchè vai fino a Milano per vendere il giornale?"..la mattina andava per vendere il giornale lì infondo al Movimento Studentesco, il pomeriggio andava ancora a Milano, insomma Milano era la sua casa...Mi diceva sempre "Mamma, piuttosto che essere senza giornale...piuttosto una bistecchina piccola così..ma senza giornale, magari anche due, tre..."madonna, ammò te cumpret el giurnal?" "No, io non dico mai se la bistecca è piccola o grande, piuttosto senza mangiare ma mai senza giornale"
D- Signora veniamo ai processi: ci sono stati il primo processo e poi l’appello, poi la Cassazione e la vicenda di Claudio…
Mamma – E si guardi, quel giorno là, il mese di agosto, ce lo ricordiamo sempre – eh Daniele? -  Lui è uscito in agosto , ha fatto dentro 7 o 8 mesi, non so…e allora sentiamo per televisione a dire: “Braggion è uscito”. Come è uscito? Siamo rimasti bloccati…sa non perché…tanto a noi non tornava più…però com’è, senza neanche niente, uscire così. Siamo rimasti lì bloccati, perché il sangue è sempre sangue, insomma

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info@pernondimenticare.net (enzo) LE INTERVISTE Sun, 05 Apr 2009 17:02:01 +0000
LA MEMORIA, LE STORIE: PERCHE' https://pernondimenticare.net/documenti/la-memoria-le-storie-2007/342-la-memoria-le-storie-perche https://pernondimenticare.net/documenti/la-memoria-le-storie-2007/342-la-memoria-le-storie-perche La memoria, le storie

Scrittori, poeti, intellettuali danno il loro contributo perché la memoria dei valori di uguaglianza, democrazia e civiltà della nostra società siano sempre vivi. Sul nostro sito, a partire dal ricordo di Claudio Varalli e di Giannino Zibecchi e di tutti quanti hanno difeso con la vita la democrazia nata dalla guerra partigiana contro il nazifascismo, pubblichiamo brevi pagine di riflessione. Perché attraverso il racconto, la parola, si riconnettano i mille pensieri che, magari confusamente, continuano a vivere tra le persone e ritrovino la forza di una coscienza antifascista e progressista. Il sito sarà aggiornato continuamente con gli scritti che ci saranno inviati nelle prossime settimane.

I primi contributi si trovano in questa sezione.

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info@pernondimenticare.net (Administrator) LA MEMORIA, LE STORIE 2007 Sat, 04 Apr 2009 14:13:39 +0000
E’ morto un ragazzo…………… https://pernondimenticare.net/documenti/la-memoria-le-storie-2008/351-e-morto-un-ragazzo https://pernondimenticare.net/documenti/la-memoria-le-storie-2008/351-e-morto-un-ragazzo E’ morto un ragazzo……………

E’ il 17 aprile 1975, sono all’obitorio di Milano a pochi passi da casa mia.
C’è gente con me nella stanza, ma ricordo solo Paola, mia compagna di collettivo. Sta toccando il viso di Claudio, gli riordina i capelli sulla fronte. Penso che siamo troppo giovani per essere qui a vegliare un amico della nostra età e penso che lei, Paola, sembri una madre antica, nonostante i suoi 18 anni appena compiuti.
Lo accarezza con delicatezza, non piange ma gli parla sottovoce, lo guarda con una pietà infinita. Ecco, lei e Claudio sembrano una pietà scultorea. Solo che la Madre non ha il figlio in grembo, lui è adagiato su un lettino di metallo. Ha gli occhi chiusi e pare che dorma. Ha un piccolo foro nero dietro l’orecchio, il segno lasciato dalla pallottola che l’ha ucciso. Non piango, non ci riesco o forse non voglio, o forse non è ancora l’ora del pianto. Mi vengono solo questi pensieri assurdi “Come può uccidere un buchino così piccolo?”
So già che non dimenticherò mai più questo momento, come non dimenticherò mai la sera prima, quando mi hanno telefonato da Piazza Cavour, dicendomi di andare lì subito e io ci sono andata, senza far ulteriori domande, disciplinata come sempre. Ricordo che stavo guardando Miracolo a Milano alla televisione.
Ho investito tutti i miei scarsi averi in un taxi, erano quasi le dieci di sera e con i mezzi non sarei arrivata mai.
Il tassista mi lascia all’angolo tra Corso Venezia e Via Palestro, la polizia c’impedisce di proseguire in auto Scendo e chiedo a dei vigili cosa sia successo, mi rispondono che è morto un ragazzo.
E’ morto un ragazzo……………

Se qualcuno che conosco muore, il ricordo diventa per me sensoriale e, più la persona mi era vicina, più diventa intenso. Non penso più a “quando mi ha detto…..”, “quando abbiamo fatto……..”, il suo ricordo viene consegnato ad una specie di videoteca, dove però non c’è solo immagine, ma sono coinvolti anche gli altri sensi e mi sembra di risentire il suo braccio intorno alle spalle, il tono della sua voce o il profumo vago di sapone da bucato che emanavano i suoi vestiti.

La prima cosa che mi viene in mente e che ho bisogno di ricordare dove l’ho visto vivo per l’ultima volta.
Era stato poche ore prima, al concentramento della manifestazione per la casa in Corso Garibaldi. Nonostante nessuno di noi fosse particolarmente studioso, condividevamo un discreto interesse per la storia dell’arte., insegnataci a scuola da uno dei rari prof. in gamba che sapevano coinvolgerci.
Proprio lì c’era una chiesa splendida, San Simpliciano. Mi guardo intorno, ma Claudio non è in vista, allora entro con una compagna di scuola, anche se con un minimo senso di colpa per non averlo cercato.
Quando usciamo, lui è lì fuori “Che str…!” ci apostrofa subito à la mode di quei tempi “Perché non mi avete chiamato ché venivo anch’io?” Touché!
“Non eri in giro” rispondo sbrigativa per minimizzare “Va dentro, ne vale la pena, ma fa alla svelta, ché tra poco si parte” Lui entra e dopo 10 minuti scarsi è già fuori, con i jeans e la giacchina militare. “Davvero bellissima!” esclama.
Sorride, ha le mani in tasca e alle spalle la magnifica cornice romanica della chiesa.
Ecco l'ultima immagine del mio amico, questo ragazzo che avrebbe compiuto 18 anni di lì a due mesi, se non fosse morto qualche ora dopo.

Poi gli altri ricordi riaffiorano, magari a distanza di giorni o mesi.

Fa freddo, ma ci sono già i prodromi di una primavera incipiente, si annusano più che altro, persino nell’afrore della nostra Milano inquinata.
Siamo davanti alla Camera del Lavoro, in corso di Porta Vittoria, a far cosa non so più. Io sono lì che osservo i miei compagni che cantano Stalingrado a squarciagola, con risultati musicali resi appena accettabili dall’entusiasmo e dalla fierezza. Sono disposti su due file, sui gradini che portano all’edificio in puro stile fascista.
Dico i “miei” compagni, perché sono quelli della zona dove c’è anche la mia scuola. Oltre a Claudio e Massimo, ci sono studenti di altri istituti tecnici vicino al nostro: Giorgi, Feltrinelli, Pacinotti. Da noi non ci sono licei, siamo in periferia. Siamo i medi della Romana.
Facciamo politica insieme, riunioni, presidi, volantinaggi, manifestazioni e turni di ciclostile e abbiamo ovviamente intrecciato amicizie interscolastiche ed extrapolitiche. Significa andare insieme al cinema la domenica, fare qualche gita fuori Milano ogni tanto e scambiarsi confidenze intime tra quelli che hanno legato di più.
Come mi accadeva spesso a quei tempi, mentre ammiravo i miei compagni, pensavo a cosa sarebbe stato di noi di lì a 10 anni, quando saremmo stati grandi, ovvero trentenni. Ricordo bene il profilo di Roberto, che era il mio ragazzo, di Eugenio che era proprio bello e di Claudio che era il mio migliore amico. Erano lì in fila, di profilo e, dalla mia prospettiva, li vedevo come l’iconografia classica di Marx, Lenin e Engels sui manifesti e sui giornali dei PCML (Partito Comunista Marxista Leninista).
Il cuore mi scoppiava d’amore, d’orgoglio e del sacro fuoco della lotta con le masse popolari sulla via del socialismo e loro cantavano e cantavano…………….

E Claudio, quando intonavamo Valsesia, era tra quelli che si toccavano arrivando ad una certa strofa, a cui aggiungeva sottovoce qualche parola in più: “ Valsesia, Valsesia che c’importa se si muor (si fa per dir), questo è il grido del valore, partigiano vincerààààààààà!”

Sono le 7.30 e sono già a scuola, “noi” dovevamo arrivare prima degli altri per vigilanza, militanza, volantinaggio e chi più ne ha più ne metta. Fatto sta che Claudio per arrivare a quell’ora doveva alzarsi alle 6, dato che abitava fuori Milano e dalla parte opposta della città.
Lo vedo arrivare e mi accingo a riprenderlo perché è in ritardo, ma lui mi precede. Mi prende sottobraccio e mi porta in disparte “Oggi Emanuela va dal ginecologo a farsi prescrivere la pillola”. E’ assolutamente radioso.
Non so più se la frase sia stata profferita o solo pensata, ma aleggia palpabile nell’aria “Finalmente si ciula!”

E’ una domenica mattina: diffusione militante del giornale, attività da noi tutti odiata. Dovevamo alzarci presto anche nell’unico giorno in cui avremmo potuto dormire per andare a suonare campanelli di case dove tutti erano ancora in pigiama e non ci accoglievano certo con gioia.

Io non c’ero andata, non se avevo bigiato e se semplicemente non toccava a me.
Fatto sta, che verso mezzogiorno suona il campanello. Sono Claudio e Roberto. Claudio ha le mani chiuse a conca, indossa un loden verde e battibecca con Roberto, come spesso accade. I compagni salutano i miei genitori e si scusano per il disturbo. Tra le mani Claudio ha un uccellino giallo “L’abbiamo trovato in Piazza Medaglie d’Oro e non sapevamo cosa fare. Roberto dice che avete già altri canarini”.
In effetti, mio padre ne aveva una grande voliera piena. Prende il canarino in mano e decreta che è una femmina, per depositarla poi nella gabbia con gli altri.
Non ricordo il seguito, ma l’immagine di Claudio che entra con le mani giunte, muovendosi con cautela come un monaco tibetano, è vivissima. La canarina morirà poco tempo dopo Claudio. Ricordo che piansi a lungo e le lacrime rimbalzavano sul corpicino che tenevo in mano. So che sembra una storia “come in un libro scritto male”, ma andò davvero così.

Eccolo di nuovo Claudio, viene a cena da me per poi andare insieme a qualche riunione. L’ho chiamato a casa chiedendogli di portare un po’ di pane ché ne sono a corto. Arriva con un sacco da un chilo come minimo, mia madre lo vede e scoppia a ridere e lui con lei. Ha il suo maglione preferito, bianco, col collo alto, da pescatore nordico.
Anche mia madre si ricorda questo episodio, si ricorda anche il maglione bianco, “come se fosse adesso”.

Lela Dall'Acqua
Milano

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info@pernondimenticare.net (Administrator) LA MEMORIA, LE STORIE 2008 Sun, 05 Apr 2009 11:43:02 +0000
Il Ricordo di Riccardo Ciurli https://pernondimenticare.net/documenti/ricordi/655--il-ricordo-di-riccardo-ciurli https://pernondimenticare.net/documenti/ricordi/655--il-ricordo-di-riccardo-ciurli Anche io compagni non dimentico.
Sono il compagno Riccardo e sono nato in riva al l'Arno in provincia di Firenze.
In quei giorni ero in viaggio.
Un viaggio iniziato il 4 agosto del 1974!!! Stavo a Novara per servire la patria. Quindi in quei giorni ero lì anche io, come eravamo tutti col cuore in Vietnam.
Qualcuno si ricorda della Grecia, del Cile di Sepulveda e di Victor Jara. Ero partito per servire la patria dopo che anche il Portogallo era tornato libero con la rivoluzione dei garofani ed una buona parte dell'Africa spezzava le catene del colonialismo: “Girandola vola morena” era una canzone che era nel mio cuore e nel cervello prima ancora di avere un giradischi.
 
Ero a Novara e quindi eravamo vicini. Per questo quei giorni sono impressi nella mia memoria in modo indelebile perché quel 25 aprile nel pomeriggio ero anch'io a Milano a gridare "oggi soldati domani partigiani". E fu il 25 aprile più bello della mia vita anche se debbo dire che io ho avuto il privilegio di aver vissuto un altro 25 aprile esaltante.
]]> info@pernondimenticare.net (Administrator) I RICORDI Sun, 17 May 2020 10:53:46 +0000 Tgr Lombardia del 10 aprile 2021 https://pernondimenticare.net/documenti/rassegne-stampa/662-tgr-lombardia-del-10-aprile-2021 https://pernondimenticare.net/documenti/rassegne-stampa/662-tgr-lombardia-del-10-aprile-2021  Notizia filmata del TGR LOMBARDIA del 10 aprile 2021

fonte archivio RAI - srvizio di Antonello Marzio

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info@pernondimenticare.net (Administrator) LE RASSEGNE STAMPA Thu, 15 Apr 2021 23:00:00 +0000
Volevano cambiare il mondo facevano politica https://pernondimenticare.net/documenti/pubblicazioni/678-volevano-cambiare-il-mondo-facevano-politica https://pernondimenticare.net/documenti/pubblicazioni/678-volevano-cambiare-il-mondo-facevano-politica PER NON DIMENTICARE - I LIBRI

Volevano cambiare il mondo:
facevano politica


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info@pernondimenticare.net (Administrator) I LIBRI Sun, 16 May 2004 23:00:00 +0000
L'altezza del gioco https://pernondimenticare.net/interventi/328-laltezza-del-gioco https://pernondimenticare.net/interventi/328-laltezza-del-gioco  

L'altezza del gioco

E' appena uscito, per i tipi della CUEC (Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana) il libro di Giulio Stocchi, L'altezza del gioco. Quella che segue è l'introduzione, che abbiamo il piacere di presentarvi in anteprima.    

A mo' di introduzione

Conversazione di Massimo A. Bonfantini con Giulio Stocchi  

MAB: Ma come ti è venuto in mente di fare il poeta? Quando? E perché? E quali sono stati i tuoi primi maestri? E i primi temi e motivi?

Giulio: Più che venirmi in mente, la poesia mi è entrata in corpo.
Ricordo benissimo: La sala di Via Sapeto, dalle parti di corso Genova, con i mobili che mio padre aveva comprato d'occasione da una famiglia di sfollati quando ancora Milano bruciava nella guerra, il tavolo enorme, la credenza col soldatino di Capodimonte con cui, malgrado tutti i divieti, ero solito giocare, e lo specchio che rifletteva l'immagine di un bimbo, chino sul suo diario rilegato in cuoio, molto anni '50, col ritratto della Fornarina in copertina. Su una pagina il bimbo aveva incollato la foto dei suoi genitori, più giovani allora di quanto non sia io adesso. E sotto quella foto scriveva, preso da una strana agitazione, una sensazione quasi fisica, di rapimento, di batticuore, di esaltazione. Qualcosa che avrei riconosciuto alcuni decenni dopo nella parole di Valéry: "Mi sono trovato un giorno ossessionato da un ritmo, che divenne improvvisamente assai sensibile alla mia mente...". Un ritmo che cercava delle parole. Fuori dalla finestra, Milano era ancora una distesa di macerie, su cui qua e là si levavano le impalcature della ricostruzione.
E il bimbo riempiva quel ritmo con le parole che erano sue: "Un giorno nella spazzatura/trovai un mazzo di carte/sporche stracciate fra la segatura...". E la sua vertigine cresceva: per la prima volta l'universo si era messo in rotazione seguendo il gioco ingenuo di quelle prime rime: "Mi fecero pena le povere carte/le raccolsi con cura dalla sozza segatura/le pulii e le posi fra un portacenere e un fermacarte.." E obbedendo a quella voce che "mi dittava dentro", seguivo l'avventura del povero mazzo che cercava un'improbabile ascesa sociale che si concludeva con la condanna del suo ritorno alla spazzatura, sancita da questa sentenza: "Se sei di bassa condizione/non tentar di andare in alto/che il fermacarte oggi mi dié gran lezione". Una massima, questa, che tutta la mia vita futura si sarebbe incaricata di confutare. Ma allora era quello che mi avevano insegnato, e nello stesso tempo mi invitavano a trasgredire, gli abiti decorosi e gli occhi tristi di quell'uomo e quella donna che mi fissavano dalla foto in Piazza Duomo.
E allora, com'é naturale nella primissima adolescenza, -e ormai conquistato dalla magia di quella voce che mi aveva toccato nell'infanzia e seguire la quale significava "fare il poeta"- cercavo altri modelli che mi aiutassero a sciogliere quel "doppio legame", l'imposizione di una regola e, nello stesso tempo, l'invito alla disobbedienza.
A stare a quel curioso libro che è L'angoscia dell'influenza di Harold Bloom, in cui lo studioso considera la storia della poesia come una lotta che ogni poeta ingaggia (come fa ogni figlio col suo genitore naturale) con il padre poetico che si è scelto, il mio romanzo famigliare è davvero complicato. Verlaine, Rimbaud e soprattutto Baudelaire -il ritratto del quale campeggiava sul mio letto di quindicenne- sono stati i miei primi modelli. Padri severi, pur nella loro dissolutezza, e che anzi, proprio col
disordine della loro vita mi indicavano la via della ribellione.  
 

MAB: La poesia è fatta di suoni, concetti, immagini, che si rimandano in segrete correspondances, per ricordare Baudelaire.
Ma a me sembra che, prima del gioco dei simboli, nella tua storia di poeta, di poeta recitante, sia importante il tuo gioco con il canto, con la tua e le altre voci.

Giulio: In verità le poesie che scrivevo al ginnasio, quelle dedicate ai primi, timidi, amori erano, ti assicuro, piene di "corrispondenze", come pure di tutto quell'armamentario di nebbie, violini, luna, funerali, mendicanti, prostitute, assenzio che i miei primi maestri mi avevano lasciato in eredità. Le figure del mio ideale mazzo di carte cominciavano a moltiplicarsi...
E tuttavia la tua domanda coglie un tratto, e un tratto essenziale, della mia fisionomia: se debbo ripensare alla mia esperienza di poeta, di cui del resto L'altezza del gioco è il resoconto che copre l'arco della mia vita, debbo dire che uno dei cardini, delle fondamenta, se non il cardine e le fondamenta, del mio modo di fare e di intendere la poesia, sia la mia profonda convinzione circa la primazia, la priorità della voce sulla scrittura, che della voce è una pallida e, per certi versi, mutilante trascrizione. Perché solo nella viva voce del poeta -che può essere naturalmente anche semplicemente voce interiore, che risuona per così dire nel suo cervello- si articola quel gioco di suono e di senso, o, se vuoi, di immaginazione e di ragione, che è il gioco stesso della poesia. Sempre Valery dice una profonda verità quando afferma che la poesia è lo sviluppo di un'interiezione. Lo sviluppo, appunto: l'edificio della poesia poggia sulla materialità del suono. Il poeta gioca coi suoni, come facevamo tutti da bambini e come, fra gli adulti, fanno i "matti". E' questo l'aspetto propriamente regressivo, "patologico", materiale, della poesia, che fa del poeta quell'entusiasta, quell'en zeòs, quel pieno di dio, quel folle di cui parlava Platone nello Ione. La mia vita e la mia esperienza hanno, da questo punto di vista, una strana e per certi versi straordinaria coerenza: essere fedele a quel brivido, a quella vertigine, a quel brusio, a quel suono -in una parola alla "ispirazione"- che s'erano imposti al bambino che ero con tanta imperativa evidenza e fare di essi lo strumento per sciogliere quel nodo che ti dicevo.
   

MAB: Il gioco coi suoni ha in te, con piena spinta spontanea e con attento esercizio di pensiero, due relazioni molto importanti: una con la musica, l'altra con l'impegno etico-politico...

Giulio: Tutto il resto è venuto, per così dire, da sé: l'incontro con la musica che può dare frutti solo là dove la voce sviluppi tutte le sue potenzialità per fondersi o dialogare con gli altri strumenti; la costruzione dei miei libri come vere e proprie partiture in attesa di un'eventuale esecuzione; la partecipazione entusiasta ai lavori e agli studi del Club Psomega -che tu hai fondato e di cui si tratta ampiamente nel libro- proprio perché credo che la poesia sia una delle forme più alte e originali di pensiero inventivo e basi le sue invenzioni su quel gioco di suono e senso cui ho accennato.
Per quanto riguarda la musica, i percorsi dell'invenzione mi hanno riservato non poche sorprese. L'orchestrazione percussiva di molte mie poesie consigliava, per così dire, un matrimonio fra le mie parole e le note di molti dei protagonisti del jazz italiano contemporaneo, fra cui Gaetano Liguori e Arrigo Cappelletti. Due pianisti dal temperamento molto diverso: esuberante il primo quanto più introverso e  riflessivo il secondo, definito non a caso il "filosofo" del jazz. Ebbene una mia poesia, particolarmente frivola e libertina, ha deciso di accompagnarsi prima all'uno e poi all'altro, facendomi scoprire qualcosa che intuivo, ma che in quelle frequentazioni un po' malandrine mi si imponeva con l'evidenza che solo la pratica ha. Come nella vita, quando ci si innamora di uomini o di donne diverse, ognuno, entrando in risonanza con l'altro, mette in evidenza aspetti diversi del suo carattere, così la mia poesia rivelava certi tratti di vivacità spaccona col primo e una sobrietà più contenuta con l'altro.
Questo per dire che la mia creatura reagiva in modo vivo e non stereotipato: un corpo fatto di suoni e di sensi che si stringeva a un altro corpo fatto di suoni e di sensi. O, fuor di metafora, due sistemi significanti ed espressivi che interagivano, condizionandosi a vicenda.
Mi chiedi infine del mio impegno: a ben vedere, anche la mia vocazione "rivoluzionaria" ha qualcosa a che fare con la poesia, così come io la intendo. Se è vero che la poesia affonda le sue radici nel felice e gratuito gioco dei suoni dellanostra infanzia, se è vero che l'infanzia è lo scrigno di tutte quelle promesse che un'organizzazione livida e feroce della società si incaricherà di smentire, allora la poesia e il poeta non potevano non essere al fianco di chi lotta perché i colori dell'infanzia e la sua luce trionfino. Forse per questo un altro poeta a me caro, Juan Gelman, dice che la poesia è sempre anticapitalista.
   

MAB: Ma tornando alla tua storia, alla tua vita.  Dunque, come hai detto, scrivevi poesie già al ginnasio e  al liceo... E poi che cos'hai fatto? Quale facoltà? E quale scelta di attività, di lavoro, di professione?

Giulio: Innamorato del suono, della voce, l'unico diploma che mi sia guadagnato è stato quello di attore, proprio per sviluppare, indagare e sfruttare le capacità della voce, per restituire attraverso di essa quella materialità del suono di cui parlavo e che mi ha sempre abitato. Fallito il tentativo di guadagnarmi un'altra laurea in filosofia per il rifiuto di Spinazzola, il mio professore di italiano di allora,  di accettare il mio poema come tesi, e stanco di recitare parole altrui, in un'esperienza di attore che del resto mi è stata utilissima, mi sono presentato, vincendo tutte le mie possibili timidezze, introversioni e via dicendo, e armato della mia sola voce, di fronte a uno dei "pubblici" più difficili e tradizionalmente esclusi dalla poesia: gli operai, gli sfruttati, gli ultimi, gli indifesi. Un'esperienza unica e indimenticabile che mi rende francamente incomprensibile l'eterna lagna dei poeti circa la scarsità o la sordità del pubblico. Il pubblico, gli ascoltatori sono lì. Basta avere la volontà, la capacità e l'umiltà di presentarsi e avere anche magari la forza di sollevare gli occhi dal proprio ombelico e guardare il mondo, le sue contraddizioni, i suoi drammi, la sua ricchezza e la sua speranza. Con questo non voglio assolutamente dire che la poesia debba essere "civile", "sociale", "rivoluzionaria" e via tromboneggiando. Quello che voglio dire è che la poesia può trattare di qualsiasi argomento e chi la vuole rinchiudere nella gabbia esclusiva del proprio "intimo", della propria "anima", della propria "individualità", e via misticheggiando, compie né più né meno che una violenza, come quando si mette un uomo in prigione.
   

MAB: Del tuo poema fai cenno anche nell'introduzione del tuo libro Compagno poeta, pubblicato da Einaudi nel 1980. In questo tuo libro di ora, L'altezza del gioco, che cosa c'è di quel tuo antico progetto?

Giulio: Il poema è per così dire l'opera della mia vita, nel senso che mi impegna ancora adesso. Scritto fra il '69 e il '73, in quegli anni di assemblee, ragionamenti, manifestazioni, solidarietà, amore che sono il dato indimenticabile della mia giovinezza, è stato continuamente rimaneggiato, rivisto, sistemato: dei centoventi e più canti di allora, ne sono rimasti novanta, alcuni dei quali ho utilizzato, senza il numero d'ordine, ne L'altezza del gioco.
La stesura di questo libro mi ha occupato per circa sei mesi, dall'estate del '99 al gennaio del 2OOO. Si tratta, come Compagno poeta, di un prosimero -un alternarsi cioè di versi e prose che trova nella Vita nova di Dante il più illustre esempio nella nostra storia letteraria- e di quel mio primo libro è l'ideale continuazione.
Se la stesura dell'opera mi ha impegnato sei mesi, i materiali, gli scritti di cui è composta coprono più di trent'anni: dai canti del poema, alle poesie di agitazione, a quelle di riflessione o di amore, ai racconti, alcuni dei quali, come ad esempio Essere come rinati, ho scritto appositamente.
   

MAB: Insomma nell'estate del '99, alla fine del millennio, hai ripreso il discorso e i materiali maturati dopo Compagno poeta.
Il nuovo libro è come un Vent'anni dopo dumassiano. Con fedeltà e continuità, con approfondimenti e innovazioni. O no?

Giulio: Mi trovavo, quell'estate, di fronte a una massa sterminata di materiale: si trattava di dare ordine, unità, organicità al tutto. E qui è divenuto protagonista del mio lavoro quello strumento del montaggio inteso proprio in senso cinematografico. Come dice Pudovkin ne La settima arte: "Con una serie di tentativi e di prove, e con la cosciente composizione artistica, il regista crea le 'frasi di montaggio', dalle quali, passo passo, risulterà la definitiva opera d'arte".
Su quell'ideale moviola che era il tavolo di cucina della mia casa di Chiavari prima, e sulla scrivania di Milano poi, si trattava insomma di cucire insieme epoche, frammenti, maturità, generi e stili diversi. Il principio cui mi sono ispirato, e del successo del quale non sta a me giudicare, è stato quello di costruire, attraverso le "frasi di montaggio" che sono gli accostamenti di cui mi sono avvalso, un discorso che restituisse la mia immagine e la mia storia, la storia degli anni del nostro immediato passato e presente, proiettata sullo sfondo di una vicenda mitica, quella degli ulissiadi e del viaggio per mare che popolano il mio libro, -viaggio per mare magistralmente illustrato nel volume dalle fotografie di Fulvio Magurno, un artista ligure di cui la sensibilità di Grazia Neri mi ha proposto e fatto conoscere l'opera-  che desse in un certo qual modo spessore e prospettiva al tutto. E per sottolineare questa faticata unità, le citazioni in esergo ad ogni "capitolo" sono, per così dire, il filo ideale che cuce insieme il tutto: la prima citazione in esergo a Agli estremi confini è tratta dall'ultima lassa del libro, L'allodola pazza, e via via tutte le altre prese dai brani che immediatamente precedono. E che fosse infine il libro anche, e forse soprattutto, il resoconto di un certo modo di fare e di intendere la poesia. Quel gioco cioè, la cui altezza ho voluto ricordare nel titolo e che costituisce, ove riesca, quella che io, non credente, chiamo "la gloria di dio", e cioè la voce dell'uomo che supera la sfida del tempo e della morte.
   

MAB: Quanto contano nel tuo lavoro, come ispiratori e voci con te dialoganti, Neruda e Majakovskij?

Giulio: Neruda ha posato sulle mie labbra le parole con cui per la prima volta mi avventuravo alla scoperta di quel continente che è il corpo di una donna e mi ha lasciato per sempre in dono lo sguardo lirico con cui mi volgo al mondo. Majakovskij mi apparve come un gigante, non solo per la statura che ebbe in vita, ma per quel suo impegnare tutto se stesso, il suo corpo e sopratutto la sua voce, per dare forza e vigore alle sue parole, quelle parole con cui si presentava alle assemblee operaie, ai soldati, ai contadini, ai proletari del suo tempo. Una lezione indimenticabile, che ho cercato di mettere a frutto nelle mie poesie di piazza, nel contatto che per tanti anni ho avuto con le masse di questo paese e per cui Nico Orengo, non senza ironia, aveva intitolato, su "Stampa libri",  un articolo che mi riguardava, Majakovskij alla Bovisa. Aver portato la poesia in quei grigi quartieri è il mio orgoglio e il mio onore.
   

MAB: La didascalicità di Brecht, e talora anche di Dario Fo, l'invettiva beat e il cantare delle immagini di Breton e forse di Queneau mi sono spesso sembrati tuoi nutrimenti, seppure sempre ripresi secondo una tua cifra inconfondibile, lirico-epico-popolare, con un sapore esistenziale ed espressionista alla Tessa...

Giulio: Brecht mi ha fatto capire come fosse la poesia anche ragionamento di estrema ed efficacissima acribia mentre, all'altro capo del filo, i surrealisti mi svelavano la ricchezza dell'abbandono al gioco della lingua con la loro scrittura automatica foriera di imprevedibili scoperte con i suoi bizzarri accostamenti.  Un altro dei territori, le sterminate lande della metafora, i regni dell'analogia, che ho continuato instancabilmente a percorrere. Mentre l'urlo di Ginsberg e dei suoi sodali, oltre a rivelarmi il volto di un'America diversa da quella degli psicopatici che oggi risiedono alla Casa Bianca, mi ha indicato, nelle sue cadenze e nelle sue dissonanze, la strada di un accostamento alla musica, al jazz in particolare, come ti dicevo.
Ma, a proposito di Dario Fo voglio raccontarti un aneddoto gustoso. In quel periodo tormentato in cui praticamente vivevo sulla soglia di casa mia, senza ancora risolvermi a varcarla e iniziare quell'esperienza di poesia di piazza che per tanti anni mi ha visto percorrere questo paese, un giorno ho telefonato a Dario per chiedergli un consiglio, un parere. Dopo estenuanti trattative, rinvii, ripensamenti, finalmente Dario acconsente a ricevermi all'una di notte, dopo lo spettacolo, a casa sua, che allora era in Piazza Baracca vicino a dove abito io. L'attore mi riceve in cucina, dove insieme a Franca Rame sta sgranocchiando un panino. Guarda un po' perplesso la valigia il cui peso mi faceva sbilenco; un'ombra di panico gli corre negli occhi quando vede la massa sterminata di fogli del mio poema che tiro fuori da quella specie di bauletto; obietta infastidito che essendo lui un attore non c'è bisogno che il poema glielo legga io; si rassegna alla mia determinazione e dopo circa un minuto, proprio quando la mia voce con le sue armoniche più flautate e persuasive si avventurava "in un delirio di stelle e di alberi", mi interrompe, dice che un proletario non avrebbe mai usato la parola "delirio" e mi congeda con una pacca sulle spalle e qualche frase di cortesia. Salvo poi, alcuni mesi dopo quando, fatto il gran passo fuori da casa mia, mi aveva ritrovato sul palco di un comizio, presentarmi con un: "Ascoltatelo bene: questo è un ragazzo che vale molto", che ricompensava l'incomprensione di quella sera e riconosceva la mia cifra inconfondibile, alla Tessa, come dici tu...
   

MAB: Ma parliamo un poco dei nostri classici. Io penso che come giustamente diceva Carrà per la pittura, che bisognava ripartire da Giotto, così penso che ogni poeta italiano debba ripartire da Dante. E radicare il suo moderno impegno nella linea  Parini-Leopardi. E poi?

Giulio: Dei nostri grandi, Dante è stato per così dire il "miglior fabbro", il mastro architetto che mi ha fatto capire come ogni libro, ogni poema, ogni poesia, sia un edificio da costruire con l'esattezza e la pazienza dei vecchi artigiani; debbo ricordare che, accanto a Dante, Petrarca, mi ha confermato come la poesia -ma del resto anche l'arte e la cultura- sia in ultima analisi la sola sfida alla morte che uomo possa con successo lanciare; di Parini mi ha sempre affascinato lo spirito corrosivo, la sapienza con cui, con pochi tratti, restituisce personaggi a tutto tondo, come la dama, il cicisbeo, il debosciato della sua straordinaria descrizione della festa di una società estenuata e corrotta, per tanti versi simile alla nostra;  e infine Leopardi, l'empirista e l'unico vero materialista della nostra storia letteraria, come dice Brioschi, m'ha mostrato, al pari di Brecht, come il pensiero possa distendersi nelle cadenze dei versi in una forma altrettanto precisa della filosofia che ti è cara e di cui mi sei maestro.
Ma, si parva licet, c'è una grande affinità fra i Canti di Leopardi ed il libro che vi apprestate a leggere. Una affinità formale che riguarda la coralità delle voci che nelle due opere si affacciano: Giacomo, Bruto, Saffo, il pastore errante, Simonide... nei Canti. Io, Calcante, Monsieur Aghion, Margherita, Ulisse... ne L'altezza del gioco. E un'affinità sostanziale perché entrambi i libri hanno come protagonista il tempo, e il tempo inteso non come ____, il tempo trascendente dell'essere, ma proprio come ______, il tempo che ci va dissipando e sfuggire al quale, come dicevo poc'anzi, costituisce per un poeta, per un artista la posta più alta del gioco.
   

MAB: Io so bene che gli artisti e gli scrittori veri non riconoscono maestri nei loro contemporanei. Mio zio Sergio Bonfantini, il pittore, aveva però considerazione per qualche connazionale più anziano: per certi temi o 'trucchi', beninteso, più che per la poetica o la visione del mondo in generale. Così, stimava Sironi rilevante, e persona da cui aveva imparato più che dal suo maestro 'di bottega' Casorati.
E tu? Da chi hai imparato? Da Montale non direi. E fra gli stranieri? Hai un debito  forse un po' strano con Ezra Pound? E, magari più riconoscibile con certo Enzesberger?

Giulio: E invece da Montale ho imparato molto, il senso della misura, della decenza in un'epoca di tromboni e cartapesta come quella in cui scriveva durante il fascismo. E proprio in questo mattino presto di giovedì 20 marzo 2003, mentre da poche ore è scoppiata una guerra dagli esiti imprevedibili, e comunque catastrofici,  la sua lezione mi torna in mente ancora più forte di fronte alla galleria di piazzisti, pagliacci, delinquenti che la televisione ci mostra ogni giorno e che sarebbe la classe dirigente di questo sventurato paese. Senza contare il mio tema preferito, il rapporto suono-senso: "Buffalo", dice da qualche parte "Eusebio", "e il nome agì..." Fortini, che ho avuto la ventura di incontrare per la prima volta a 18 anni in certi garage frequentati dai Quaderni rossi, dove la mia ribellione cominciava ad assumere sfumature rivoluzionarie, è stato invece l'esempio dell'impegno, di quell'engagement che Sartre ci aveva insegnato e di cui Franco è stato il campione più coerente fino all'ultimo in Italia.
Con "Zio Ez" il debito c'è, e come! Mi ha insegnato che la poesia è un edificio che può essere costruito coi materiali più disparati, nessuno dei quali è, a priori, "antipoetico", come vorrebbero i piccoli orfei nostrani.

E poi, come non avere simpatia per un poeta il quale a Mussolini che gli chiedeva "Pound, cosa posso fare per voi?", durante un incontro che l'americano aveva a lungo mendicato, rispondeva: "Non fate la guerra Duce: lasciatemi il tempo per finire il mio poema"?
Enzesberger è stato per me il conservatore che ha consegnato la storia del novecento in quel vero e proprio museo delle cere che è il suo Mausoleum. E serbare la memoria non è forse uno dei compiti della poesia che, non a caso, gli antichi consideravano figlia di Mnemosine?
E infine Nanni Balestrini: è stato un incontro tardivo, attorno agli anni 80, quando ormai pregi e difetti mi si erano consolidati nel volto e nella fisionomia che mi sono costruito. Ma non meno significativo quell'incontro perché, da una parte mi confermava l'importanza di quello strumento del "montaggio" di cui ti parlavo e dall'altra mi rivelava la possibilità e la capacità della cosiddetta "avanguardia" di uscire dal recinto degli spettrali ed esangui cruciverba cui spesso si condannava, e sciogliersi in un canto civile ed appassionato, come avviene in Blackout.
Tutta quella folla che, nel poemetto di Nanni, si riversa per le strade, nella New York del black-out del '78, e sfascia, e rompe, e ride e canta è una delle immagini più potenti di ciò che succede quando quelli di "bassa condizione", come dicevo nei miei lontani versi infantili, acquistano coscienza della loro forza.
Così come il canto della mia Allodola, che conclude il libro che state per aprire, rovescia le certezze che mi erano state insegnate da bambino, paga la promessa che ho fatto alla rassegnazione dei miei genitori e attesta che la rivoluzione è avvenuta. Almeno in poesia.
Ma non dice Kunert che dietro la poesia avanza il futuro?
 

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info@pernondimenticare.net (enzo) GLI INTERVENTI Sat, 04 Apr 2009 19:08:50 +0000
LA SENTENZA ZIBECCHI https://pernondimenticare.net/documenti/i-processi/285-la-sentenza-zibecchi https://pernondimenticare.net/documenti/i-processi/285-la-sentenza-zibecchi                                                                                                                                                                                       1980

 

    Addì 28 Mese di Nov.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Civile e Penale di Milano
SEZIONE PENALE 8°

 

Composto dai Sigg. Magistrati
         Dott. FRANCESCO SAVERIO BORRELLI   Presidente
         Dott. ROSA IMMANO      Giudice
         Dott. GIUSEPPINA D’ANTONIO     Giudice
Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nella causa penale contro
1) CHIARIERI SERGIO, nato a Pescara il 21 Maggio 956, res. a Sasso Ferrato via Col De Magna n. 20, elett. Dom. presso l’avv. Vittorio D’Aiello, via Freguglia n. 10;
2) GAMBARDELLA ALBERTO, nato a Napoli il 16/6/1954, res. a Napoli via Michelangelo Caravaggion. 97/C;
3) GONELLA ALBERTO, nato a Bengasi (Libia) il 1/1/1940, res. in Milano via Friuli n. 88, anche c/o avv. Armando Cillario, Corso di P.ta Vittoria n. 31 MI;

IMPUTATI

 

A) del reato p.e p. dagli artt. 113, 589, 61 n. 3 C.P., per aver, in cooperazione colposa tra di loro, cagionato la morte di Zibecchi Giannino per colpa aggravata dalla previsione dell’evento: il cap. Gonella, infatti, quale comandante della colonna inviata dal comando del III Bgt. CC. verso la caserma di via Fiamma, dove era stato segnalato il pericolo di un assalto da parte di dimostranti, ordinava ai militari a lui subordinati di imboccare corso XXII Marzo, effettuando con gli automezzi una manovra “a sfollagente”, sì da percorrere a ventaglio l’intera platea stradale e i marciapiedi laterali, manovra non giustificata dalla situazione di fatto e prevedibilmente pericolosa per l’incolumità di quanti si trovavano in corso XXII Marzo; il ten. Gambardella, quale ufficiale capo macchina ed il carabiniere Chiarieri, quale conducente l’automezzo Fiat CM 52 tg. EI 601206, eseguivano la suddetta manovra nonostante la situazione di fatto ne dimostrasse l’inutilità e la pericolosità, conducendo comunque il loro mezzo sulla corsia di sinistra, contro mano, ad una velocità di circa 35 Kmh., salendo altresì sul marciapiede affollato di manifestanti i quali per evitare di essere travolti, o si appiattivano contro i muri degli edifici laterali o si spostavano, correndo verso la platea stradale, come lo Zibecchi che si comportava in tal modo proprio nel momento in cui il camion discendeva dal marciapiede tagliando diagonalmente la strada; lo Zibecchi veniva così investito dal paraurti anteriore e dalla calandra dell’automezzo e successivamente, schiacciato dalle ruote decedeva sul colpo.
In Milano, il 17 Aprile 1975
B) Gonella Alberto, inoltre, del reato di cui agli artt. 113, 590, 61 n. 3 C.P., per aver cagionato, in cooperazione colposa, aggravata dalla previsione dell’evento, con Gambardella Alberto e con Chiarieri Sergio, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui sopra e con la medesima condotta sopra descritta, lesioni personali, guarite in gg. sette, a Giudice Roberto e una contusione alla faccia laterale della coscia sinistra a Beltramo Ceppi Fulvio;
per aver, ancora cagionato, per aver cagionato, in cooperazione colposa, aggravata dalla previsione dell’evento, con Bracaglia Alberto e Brizzolari Benvenuto, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui al capo a), lesioni colpose a Signorini Dario, che riportava una frattura  bimalleolare con un periodo di malattia di centoventi giorni e con l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione: il brig. Brizzolati, infatti, quale sottufficiale capo-macchina, e il carabiniere Bracaglia, quale conducente dell’auto Fiat CM 52 tgt. EI 601205, in seguito all’ordine ricevuto dal Gonella, eseguivano manovre analoghe a quella descritta nel capo a), nonostante la situazione di fatto ne dimostrasse l’inutilità e la pericolosità, conducendo il loro mezzo sulla corsia di destra di corso XXII Marzo, ad una velocità elevata , salendo altresì sul marciapiede antistante il bar “Motta”, marciapiede affollato di manifestanti i quali, per evitare di essere travolti, si appiattivano contro i muri degli edifici o si spostavano sulla strada, come il Signorini, che si trovò improvvisamente a dover divaricare le gambe per evitare di inciampare in altra persona che gli era caduta davanti e con tale brusco movimento subiva lo schiacciamento del piede destro, che veniva travolto dalla ruota anteriore dell’autocarro dei carabinieri, che in quel momento era sul marciapiedi; Signorini, a causa dello spostamento brusco, onde evitare di essere urtato dalla fiancata dell’autocarro, riportava la frattura del malleolo peroneale e di quello tibiale con le conseguenze sopra indicate.
In Milano, il 17 Aprile 1975

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Il 17 aprile 1975, all’indomani dell’omicidio di Claudio Varalli, giovane appartenente al Movimento studentesco, ad opera di un avversario politico, la città di Milano fu sconvolta da una serie di episodi di violenza (aggressioni a privati cittadini, devastazioni di sedi del M.S.I., incursioni, vandalismi e incendi in esercizi pubblici e redazioni di giornali, attacco ad automezzi e reparti delle forze dell’ordine) verificatisi a margine di una manifestazione di protesta con comizio e corteo che aveva preso le mosse da piazza Cavour. G1i incidenti di gran lunga più gravi si verificarono nell’area compresa tra via Mancini; dove le forze dell’ordine erano schierate a protezione della Federazione provinciale del M.S.I., corso XXII Marzo, piazza S. Maria del Suffragio e via Fiamma: qui numerosi automezzi della polizia e dei Carabinieri furono dati alle fiamme mediante il lancio di bottiglie incendiarie, mentre i reparti, pressoché esaurite le riserve di candelotti lacrimogeni, sotto la pressione di consistenti gruppi di dimostranti, erano costretti ad arretrare. Alle ore 12,45 transitò per corso XXII Marzo, diretta da piazza 5 Giornate verso piazza S. Maria del Suffragio, una colonna di automezzi (alcune campagnole A.R., alcuni autocarri leggeri CL-51, alcuni autocarri pesanti CM-52) inviata d’urgenza dalla caserma dei Carabinieri di via Lamarmora con un contingente di uomini del III Battaglione Milano al comando del capitano Alberto Gonella il cui intervento non era stato programmato in anticipo ma deciso all’ultimo momento per il precipitare della situazione.
Transitata tra una gragnola di sassi, altri oggetti contundenti e bottiglie incendiarie la colonna che, salvo la campagnola di testa allontanatasi per spegnere le fiamme dalle quali era rimasta avvolta, si arrestò nel tratto di corso XXII Marzo compreso tra via Mancini e piazza S. Maria del Suffragio, discesi gli uomini ed effettuate da questi e dai reparti già in luogo alcune cariche valse a disperdere i dimostranti, si constatò che sulla carreggiata sinistra di corso XXII Marzo, all’incirca all’altezza della laterale via Cellini, giaceva il corpo esanime di un giovane, identificato per il ventiseienne Giannino Ribecchi il quale fino a pochi attimi prima aveva partecipato tra i dimostranti all’azione contro i reparti attestati in via Mancini. Era accaduto che uno degli autocarri pesanti della colonna, un CM-52, targa E.I. 601206, guidato dal carabiniere diciottenne Sergio Chiarirei alla cui sinistra era seduto come capomacchina il sottotenente Alberto Gambardella, nell’imboccare corso XXII Marzo anziché immettersi subito – come gli automezzi che lo precedevano – nella corsia centrale riservata ai mezzi pubblici e delimitata dal cosiddetto serpentone, aveva percorso qualche decina di metri completamente spostato sulla sinistra, salendo ad un certo punto sul marciapiede gremito di dimostranti. Discesone, mentre diagonalmente si dirigeva verso la corsia centrale (nella quale era poi rientrato saltando il “serpentone”) aveva investito e sbalzato in avanti lo Zibecchi, che fuggiva dal marciapiede verso il centro della strada, e lo aveva quindi sorpassato, con la ruota anteriore sinistra schiacciandogli il cranio. Lo stesso autocarro aveva anche urtato, all’incirca nel medesimo contesto di manovra, altre due persone – Roberto Giudici e Fulvio Beltramo Ceppi – provocando loro lesioni. A pochi secondi di distanza un altro autocarro pesante, il CM-52, targa E.I. 601205, guidato dal carabiniere Alberto Bracaglia con il brig. Benvenuto Brizzolati come capomacchina, che nella colonna seguiva quello del Chiarieri, aveva a sua volta tagliato, salendovi, l’angolo destro del marciapiede del corso XXII Marzo su piazza 5 Giornate, dove si trovavano pure numerosi dimostranti, e aveva provocato una frattura bimalleolare a Dario Signorini, costretto a un brusco spostamento per evitare di venire investito. L’automezzo era poi entrato anch’esso nella corsia centrale.
A conclusione di una laboriosa indagine, nel corso della quale vennero acquisite fotografie e pellicole cinematografiche di privati operatori, vennero ascoltati numerosi testimoni civili e militari, venne eseguito un complesso esperimento giudiziale nei medesimi luoghi dei fatti, e vennero eseguite una perizia tecnica e varie perizie medico legali anche sulla persona del carabiniere Chiarieri il quale asseriva di aver perduto il controllo dell’autocarro per essere stato colpito da oggetti contundenti al volto e al collo, il Giudice istruttore con ordinanza-sentenza del 22 Giugno 1979 – oltre prosciogliere numerosi soggetti da imputazioni attinenti alla partecipazione ai disordini, e a prosciogliere per intervenuta amnistia il Gambardella, il Chiarirei, il Bracaglia e il Brizzolari da imputazioni di lesioni colpose in danno di coloro che avevano riportato fratture e contusioni per effetto delle manovre dei due autocarri – rinviò il Gonella (che aveva rinunziato all’amnistia quanto ai reati di lesioni colpose), il Gambardella e il Chiarieri al giudizio del Tribunale di Milano perché rispondessero dei reati loro rispettivamente ascritti come in epigrafe. Il Giudice istruttore, in particolare, disattendendo – in conformità delle richieste del Pubblico Ministero – la tesi secondo cui il carabiniere Chiarieri aveva perduto il controllo dell’autocarro a causa delle lesioni riportate (e oggettivamente constatate dalla perizia medico-legale), ritenne che fosse stata attuata da tutta l’autocolonna una preordinata manovra a “sfollagente”, inopportuna sia perché la condizione della piazza era in quella fase già in via di decongestionamento, sia perché gli autocarri non si prestavano comunque per la loro pesantezza e scarsa manovrabilità a un uso siffatto. Donde la responsabilità dell’ufficiale capocolonna (il Gonella), dell’autista (il Chiarieri) e dell’ufficiale capomacchina (il Gambardella).
Un primo dibattimento venne celebrato davanti alla IV sezione penale del Tribunale di Milano nelle udienze del 15 Ottobre 1979 e seguenti. All’esito della discussione il Tribunale pronunziò ordinanza in data 27 Ottobre 1979 con la quale, ritenuto in fatto che gli imputati avevano ricevuto l’ordine da ufficiali superiori dell’Arma di recarsi a prestare rinforzi non già alla caserma di via Fiamma (Compagnia Monforte) bensì ai reparti attaccati dai dimostranti in via Mancini, e di disperdere la folla caricandola con gli automezzi – ordine che il Tribunale “al di là dell’inadeguatezza dei mezzi impiegati…” reputava “… di per sé legittimo” – osservò che il fatto così accertato era diverso da quello contestato, e che in relazione ad esso non poteva definirsi la posizione degli imputati, vuoi perché l’azione penale era stata promossa su altri presupposti, vuoi perché l’azione penale si sarebbe, diversamente, vincolata l’attività del Pubblico Ministero conseguente all’invio degli atti al suo ufficio per l’indagine sulle eventuali responsabilità dei superiori degli attuali imputati. Pertanto, ai sensi dell’art. 477, comma 2°, c.p.p., restituì gli atti al Pubblico ministero per l’ulteriore attività di sua competenza.
L’Ufficio del Pubblico Ministero non condivise la deliberazione del Tribunale, e con atto del 10 gennaio 1980 elevò conflitto, osservando che la supposta diversità del fatto non sussisteva, che il Tribunale avrebbe potuto e dovuto giudicare in ordine alle imputazioni ascritte ai tre prevenuti, che così facendo in nessun caso il Tribunale avrebbe vincolato il Pubblico ministero nell’eventuale esercizio dell’azione penale contro gli ufficiali superiori. La Corte di cassazione, risolvendo il conflitto con sentenza del 14 aprile 1980, accolse i rilievi del Pubblico ministero, annullò l’ordinanza 27 ottobre 1979 e trasmise gli atti al Tribunale di Milano per l’ulteriore corso. Il Presidente del tribunale in un primo tempo assegnò il processo alla stessa IV sezione già a suo tempo investita; con successivo decreto del 6 giugno 1980, peraltro, preso atto che il Presidente della IV sezione ravvisava “motivi di opportunità per l’assegnazione ad altra sezione in seguito al provvedimento della Corte di cassazione”, assegnò il processo alla VIII sezione penale.
Fissato nuovamente per il 12 novembre 1980, il dibattimento è stato celebrato davanti a questa sezione alla presenza degli imputati Chiarieri e Gonella, nella contumacia dell’imputato Gambardella, e nel contradditorio con le parti civili Carlo Ziabecchi, Fulvio Beltramo Ceppi, Roberto Giudici e Dario Signorini.

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Dall'ordinanza pronunziata il 27 ottobre 1979 dall'altra sezione di questo Tribunale traspare con sufficiente chiarezza - pur attraverso la prudenziale fraseologia che è d'obbligo quando il giudice per ragioni di rito non ritenga di poter definire il merito dalla causa - un apprezzamento della fattispecie concreta orientato a valorizzare, nei riflessi favorevoli alla posizione degli imputati derivanti dall'applicazione dell'art. 5l c.p., la sostanziale o apparente legittimità dell'ordine di carica "a sfollagente" che, nella situazione di "vera e propria guerriglia urbana certamente da non equipararsi alle normali turbolenze di una folla di dimostranti" (pag.9), altrove definita "gravissima" (pag.13) per il massiccio attacco subito dalle forze dell'ordine, si ipotizzava fosse stato impartito dai vertici della catena gerarchica dell'Arma.
All'esito del dibattimento integralmente rinnovato e su qualche punto ampliato, questo Tribunale ritiene di dover giungere egualmente all'assoluzione degli imputati, ma per motivi radicalmente diversi.
Incertezze, lacune mnemoniche, contraddizioni sono state a più riprese constatate nelle varie fasi del processo e contestate a imputati e testimoni. Senza volerne negare l'esistenza, e senza poter escludere che in parte siano riconducibili a intenti e talora a eccessi difensivi, reputa il Tribunale che esse interessino aspetti marginali e comunque non essenziali alla valutazione giuridica dei fatti. Un esempio per tutti è offerto dalla controversia sul parallelepipedo di metallo nel quale alcuni hanno creduto di individuare l'oggetto che colpì allo zigomo il carabiniere Chiarieri e ai cui discussi passaggi da una mano e da una tasca all'altra si è attribuita un'irragionevole importanza, posto che la lesione ossea patita dal Chiarieri era stata, in sé, irrefutabilmente accertata dal perito recatosi in ospedale a esaminare il militare e la documentazione clinica a pochissimi giorni di distanza dall'episodio. D'altronde dalle 1acune, dalle incertezze, dalle contraddizioni - se ingiustificabili - possono ricavarsi talvo1ta elementi di rafforzamento di prove fondate altrove, non certo ragioni per dare corpo a congetture costruite aprioristicamente. Soltanto, poi, un grezzo semplicismo ignaro, o volutamente dimentico della complessa problematica psicologica della percezione, della memorizzazione e della riproduzione dei dati, che non solo nei laboratori sperimentali ma nell'esperienza giudiziaria accade quotidianamente di dover affrontare, potrebbe condurre a generalizzare accuse di falsità, quando si sollecitino e si ricevano con contrastanti risultati dalla memoria di protagonisti e testimoni informazioni su avvenimenti precipitosi e dispersivi, investiti di forti cariche di emotività, concentrati in brevissimi segmenti temporali. E, sempre a titolo di esempio, potrebbero qui ricordarsi le testimonianze di Mariangela Scozzaro, commessa del negozio GAP, secondo la quale l'autocarro di Chiarieri marciava lungo corso XXII Marzo verso piazza 5 Giomate (C/4, f. 48), di Paolo Toniolo, secondo cui le due (?) camionette di testa della colonna imboccarono la carreggiata destra della strada, seguite dagli autocarri (ivi, f. 49) di Mauro Di Prete, secondo cui l'autocarro di Chiarieri dopo l'investimento proseguì nella carreggiata di sinistra (ivi, f. 54): informazioni, tutte, pacificamente erronee e definitivamente sepolte, senza clamore, tra le pagine del processo come relitti privi di interesse.
La tesi, secondo cui l'autoco1onna avrebbe ricevuto l'ordine di caricare i dimostranti con gli automezzi, è rimasta allo stato di mera congettura. Nessuno dei testimoni, nessuno degli imputati di questo procedimento (due dei quali, Gonella e Gambardella, non più appartenenti all'Arma; il terzo, Chiarieri, astrattamente interessato più di chiunque altro a rifugiarsi, da semplice gregario all'epoca non ancora diciannovenne, dietro lo schermo dell'ordine dei superiori), nessuno degli indiziati nell'altra inchiesta apertasi dopo l'ordinanza 27 ottobre 1979, ha mai affermato l'esistenza di un ordine del genere, ma al contrario, tutti l'hanno negata.
Né l'accusa pubblica né l'agguerrita a accusa privata hanno citato un solo esempio storico di cariche operate contro la folla da reparti di Carbinieri direttamente con gli automezzi, prima o dopo del 17 aprile 1975, ciò che significa indiscutibilmente l'estraneità di tali manovre alla prassi dell'Arma, sebbene il punto 28.3 della pubblicazione n. 9041 "Impiego dei reparti dell'Arma nei servizi di O.P. Norme esecutive", del 1967 (prodotta nel precedente dibattimento, udienza 23 ottobre 1979) contempli la "carica a piedi e su automezzi": normativa, peraltro, che è stata concordemente definita di carattere sperimentale, che non consta abbia mai avuto attuazione neppure in sede addestrativi, e che in ogni caso prevedeva - con strumentazioni accessorie e modalità affatto particolari - solo l'uso delle campagnole (A.R.) e degli autocarri leggeri con i teloni arrotolati, non anche degli autocarri pesanti quali i CM 52.
L'ordine di una siffatta inedita manovra, alla quale gli automezzi pesanti erano del tutto inidonei e che sarebbe stata obiettivamente rischiosa non solo per la fo1la ma per gli stessi militari (traspostati su mezzi non agi1i, a baricentro alto, con sterzatura limitata e priva di servomeccanismi come pure di "ritorno" del volante), a tutto concedere si sarebbe potuto concepire se impartito sul campo, di fronte alla folla minacciosa e in prossimità del contatto. E' pacifico però che gli autocarri non avevano radio a bordo e non potevano perciò ricevere ordini durante la marcia, così come è pacifico che la colonna non ebbe un arresto generale in piazza 5 Giornate, e che l'ufficiale capocolonna non scese dalla sua campagnola ma al contrario, imboccato il corso fu costretto dalle fiamme che ben presto lo avvolsero ad accelerare l'andatura e lasciare di fatto il comando all'ufficiale della campagnola di coda. Dunque l'ordine, non comunicato durante il percorso né sul teatro degli avvenimenti, dovrebbe esserlo stato all'atto della partenza dalla caserma di via Lamarmora, o ancora prima.
Ipotesi, peraltro, non solo non suffragata da prove storiche, ma del tutto irreale, giacché né l'ufficiale precipitosamente chiamato a formare e comandare la colonna, né il comandante del Battaglione, né i più alti ufficiali con i quali quest'ultimo era stato in contatto radio, possedevano dalle rispettive sedi una conoscenza particolareggiata della situazione nel corso XXII Marzo e nelle adiacenze, avendo ricevuto soltanto segnalazioni di pericolo imminente che, nel rapido evolversi tipico dei movimenti di piazza non consentivano una decisione aprioristica circa le modalità tattiche dell'intervento, al contrario postulavano un adattamento dell'azione alla variabile concretezza del momento in cui il reparto fosse giunto sul posto. E meno che mai poteva essere decisa per così dire a tavolino una modalità d'intervento tanto drastica e tanto singolare - e del tutto inedita, lo si è rilevato: ciò che contribuisce a colorarla di improbabilità, tenuto conto degli schematismi tendenzialmente rigidi e intellettualmente conservatori della mentalità militare - come la carica con gli automezzi pesanti.
Quanto poi al quesito se la colonna avesse ricevuto ordine di portarsi in via Fiamma al soccorso del Comando della Compagnia Monforte - dove un manipolo minaccioso di dimostranti si avvicinava alla caserma pressoché sguarnita incendiando autovetture - o in Via Mancini angolo corso XXII Marzo, trattasi di un argomento controverso la cui importanza è stata chiaramente sopravvalutata sia dalle parti sia dal Tribunale nella precedente tornata dibattimentale. La prima alternativa è tutt'altro che incompatibile con le circostanze accertate, posto che il percorso seguito dalla colonna, contrariamente a quanto tralaticiamente ripetuto per tanti anni, era il più breve per raggiungere piazza S.Maria del Suffragio (la caserma della Compagnia. Monforte è nell'isolato d'angolo tra tale piazza e via Fiamma); e che, a smentire le sofisticate illazioni secondo cui la chiamata d'aiuto da via Fiamma sarebbe giunta alla Centrale operativa dei Carabinieri dopo la partenza della colonna, sta l'inoppugnabile registrazione della chiamata ai Vigili del fuoco alle ore 12,21 (registro annotazioni acquisito in fotocopia e allegato al verbale della udienza 25 ottobre 1979, foglio 4) per l'intervento in S. Maria del Suffragio, proveniente attraverso il "113" sicuramente dal m.llo Zappalà, che ha testimoniato la contestualità cronologica tra tale chiamata e quella alla Centrale operativa, a seguito della quale fu dato il "via" alla partenza del reparto automontato. Ma a prescindere da questi rilievi, la contrapposizione tra l'obiettivo "via Fiamma" e l'obiettivo "via Mancini" è palesemente artificiosa, in primo luogo per l'estrema vicinanza dalle due strade, separate da due isolati soltanto, e interessate da una medesima e contemporanea azione violenta da parte dei dimostranti, in secondo luogo perché tutte le relazioni di servizio e le prime dichiarazioni testimoniali dei militari parlano di intervento del contingente in via Fiamma e in via Mancini, in terzo luogo perché, escluso che la colonna potesse aggirare la zona e imboccare dall'estremità opposta via Fiamma, ingombra quel giovedì dalle bancarelle del mercatino settimanale, era tatticamente del tutto indifferente giungere sul teatro degli incidenti da via Morosini piuttosto che da piazza 5 Giornate. Né, comunque, si scorge quale utilità per la tesi accusatoria dell'ordine di carica con gli automezzi potrebbe desumersi dall'adozione dell'ipotesi che la destinazione fosse corso XXII Marzo piuttosto che via Fiamma, dal momento che tutta la zona - come i filmati drammaticamente mostrano - era flagellata dalla violenza dei dimostranti.
Sicché in definitiva tale tesi accusatoria rimane ancorata a due soli indizi, che si dirà subito quanto siano labili. Il primo è legato alla constatazione che il vice questore Epifani, ai cui ordini si trovava la forza di via Mancini, qualche diecina di minuti prima, personalmente ferito alla testa e gravemente preoccupato per il precipitare degli eventi, aveva via radio invitato a "caricare attorno attorno con le macchine", "con gli autocarri" (pag. 37 della trascrizione in atti delle registrazioni effettuate presso la Centrale operativa della Questura). Il secondo, alla constatazione che, di fatto, il CM-52 guidato dal Chiarieri si portò suI lato sinistro del corso XXII Marzo, e il CM-52 guidato dal Bracaglia tagliò l'angolo iniziale destro della stessa strada, l'uno e l'altro dunque deviando dal percorso centrale che, tracciato dai mezzi di testa, essi avrebbero dovuto seguire nell'attendere al compito di mero trasferimento del contingente in luogo dove questo potesse efficacemente operare appiedato.
Senonchè, sul primo punto deve rilevarsi che non è minimamente provato che l'invocazione del dott.Epifani - quale che sia l'interpretazione autentica che egli, udito come teste, ha voluto accreditarne - sia giunta, direttamente o indirettamente, e in quella precisa formulazione, all'Arma dei Carabinieri. Le centrali operative della Questura e dei Carabinieri non erano stabilmente collegate tra loro, le bande di frequenza sulle quali gli apparecchi della P.S. e dell'Arma trasmettevano e ricevevano erano diverse; e, a escludere che dalla Questura il suggerimento del dott.Epifani fosse stato accolto letteralmente, e potesse quindi essere stato girato negli stessi termini ai Carabinieri, sta la medesima registrazione, in cui si ode la voce del dott. La Torre, allora Capo di gabinetto della Questura, che seguiva e coordinava le operazioni, impartire ai commissari Soldano e Virzì, e ai rispettivi reparti di Pubblica sicurezza, l'ordine di portarsi ai lati della zona calda "uno da destra e uno da sinistra", e di "fare azione di alleggerimento attorno..., si azionino le sirene... di non andare davanti all'obbiettivo" (pag. 38-39-46 della citata trascrizione). Ordine, questo, ben diverso da quello che il funzionario avrebbe formulato se avesse inteso coltivare il disegno di una carica diretta con gli automezzi contro la folla; donde l'irragionevolezza di presumere (a parte la netta smentita da lui data come testimone) che egli avesse chiesto ai Carabinieri, con cui pure era in contatto, di eseguire quanto il dott. Epifani pareva suggerire.
Sul secondo punto, a parte la correttezza metodologica di fondare sul fatto materiale il teorema dei suoi antecedenti causali (in sintesi: "Chiarirei e Bracaglia si diressero sulla folla - dunque lo fecero deliberatamente - dunque ne avevano ricevuto l'ordine"; dove ciascuna delle due inferenze è evidentemente viziata), vi è da osservare che le manovre dei due autisti furono tutt'altro che simmetriche, tutt'altro che contemporanee, tutt'altro che coordinate. Se in un qualsiasi momento la colonna avesse ricevuto l'ordine di rastrellare in tutta la sua ampiezza il corso XXII Marzo, vi è da presumere che gli automezzi vi sarebbero stati predisposti con un minimo di coordinazione, che si sarebbero mossi in formazione, che avrebbero persistito nei rispettivi compiti per un tratto apprezzabile, almeno fino a raggiungere l'obiettivo di via Mancini. Mai, al di là dell'assurdità di far eseguire evoluzioni sui marciapiedi a due autocarri pesanti (CM-52) quando nella colonna, oltre le campagnole, vi erano anche due autocarri leggeri (CM-51: quello guidato dal carabiniere Nicodemo, immediatamente dietro la campagnola di testa, e quello che precedeva immediatamente la campagnola di coda del cap. Montanti; i due filmati
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degli altri per la minore altezza della cabina di guida), il percorso di Bracaglia fu nettamente diverso da quello di Chiarieri, perché l'autocarro taglia soltanto l'angolo destro, subito dopo rientrando nella corsia di centro anziché rimanere sulla destra o addirittura sul marciapiedi, né gli sarebbe stato difficile farlo evitando gli ostacoli fissi; non soltanto, ma la manovra di Bracaglia fu posteriore di vari secondi a quella di Chiarieri, come emerge dalla deposizione del teste Carlo Alzon. (vol.C/4, f. 73).che vide e fotografò l'autocarro del Bracaglia sull'angolo del bar Motta dopo che l'autocarro del Chiarieri era già uscito dalla sua ottica. E come è irrefutabilmente provato dalla progressione delle istantanee da lui scattate, dove quella che inquadra la manovra del Bracaglia porta un numero successivo a quella che inquadra il Chiarieri mentre rientra nel "serpentone" dopo aver investito Zibecchi. Se a questo si aggiunge che ciascuna delle due deviazioni - quella del Chiarieri e quella del Bracaglia - è spiegata da una propria ragione suffficiente che è quanto meno equipollente, in via di prima approssimazione analitica, all'ipotesi dell'esecuzione di un. ordine (per Chiarieri, come si vedrà, il bombardamento di oggetti contundenti e incendiari cui il mezzo e l'uomo furono fatti segno; per Bracaglia, l'esistenza al centro dell'incrocio di una vasta chiazza fiammeggiante che, sebbene abbastanza lontana dal marciapiede, può costituire spiegazione di una repentina, non ben calcolata ma sicuramente momentanea sterzata verso destra), è agevole concludere che della tesi dell'ordine di carica - tra l'altro nebulosa nel suo specifico contenuto: se carica sui marciapiedi, o sulle sole corsie - non resta in piedi alcun valido supporto che si possa reputare  attendibilmente provato.
Da tale constatazione discende l'assoluzione del capitano Alberto Gonella dai reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto, non avendo egli impartito né trasmesso né cooperato a far eseguire il supposto e non provato ordine di carica a sfollagente; e risultando con pacifica certezza che, alcuni secondo prima che gli autocarri del Chiarieri e del Bracaglia imboccassero corso XXII Marzo, egli era stato costretto dal fuoco che avvolgeva la sua campagnola a una fuga in avanti per evitare il rischio di una
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perdere il contatto con la restante parte della colonna da lui comandata. Per la stessa ragione deve escludersi che all'imputato sottotenente Alberto Gambardella possa fondatamente ascriversi quale capomacchina la responsabilità di aver trasmesso ed eseguito il supposto ordine di carica.
Per quanto concerne la posizione dell'imputato Sergio Chiarieri e, con riferimento alla solo aspetto della possibilità di controllo del comportamento dell'autista, la posizione dell'ufficiale capomacchina Gambardella, già si è accennato che l'autocarro e la persona del Chiarieri vennero investiti da lanci operati dai dimostranti nella zona d'incrocio tra viale Montenero, viale Premuda e Corso XXII Marzo. Sulla circostanza che l'autocarro venne colpito, nel lato sinistro, da una bottiglia incendiaria, nessun dubbio è possibile, essendovi agli atti le fotografie che la documentano, con riguardo al momento in cui l'autocarro dal centro dell'incrocio stava puntando sull' angolo sinistro di corso XXII Marzo, in direzione della farmacia (fotogr. all.5 alla perizia tecnica). Sulla circostanza che il Chliarieri venne colpito al volto e al collo da oggetti contundenti, e sulle conseguenze che da questi colpi possano essere derivate alla conduzione del veicolo, sono invece stati sollevati, seppure in modo non sempre chiaro, molti dubbi.
In proposito il Tribunale osserva quanto segue. Sebbene in linea di massima gli autisti avessero l'istruzione di applicare ai finestrini dalla cabina le grate di protezione, è stato da più parti riferito che essi riluttavano a conformarsi a questa disposizione, insofferenti dell'impedimento frapposto sulla destra dalla grata alla visuale laterale (gli autocarri hanno la guida a destra) e alla possibilità di sporgere il capo dal finestrino, e che da parte dei superiori vi era tolleranza al riguardo. I filmati mostrano almeno tre autocarri della colonna privi di grata destra (uno di questiè il CL targato EI-89836 guidato dal carabiniere Nicodemo, ripreso e fotografato più avanti nel momento in cui una sassata frantuma il vetro); nell'interno della cabina del CM-52 di Chiarieri  furono in più punti trovate tracce di oggetti contundenti; sicché non vi è motivo per dubitare che effettivamemte Chiarieri marciasse senza grata e nella fase che
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L'imputato fin dal primo interrogatorio reso in ospedale al magistrato all'indomani del fatto riferì di essere stato colpito allo zigomo e al collo, circostanza riferita anche da Gambardella, di aver portato le mani al volto e di aver perduto il controllo del mezzo. La circostanza, tutt'altro che improbabile nel quadro delle violente ostilità in atto nella zona, cinematograficamente e fotograficamente documentate e testimonialmente confermate con preciso riferimento anche ai mezzi dell'autocolonna dei Carabinieri, è provata nella sua materiale oggettività dalle lesioni che Chiarieri riportò e che, indicate poi nei referti delle ore 15 presso il Policlinico e delle ore 17 presso l'Ospedale militare, il perito prof. Farneti iniziando le proprie operazioni il 19 aprile 1975 (a due giorni cioè dal fatto) direttamente constatò e descrisse come contusione escoriata allo zigomo destro con infrazione sottoperiostea della corticale esterna e come contusione escoriata in regione latero-cervicale posteriore destra. Sebbene nessuna fonte storica - a parte le dichiarazioni di Chiarieri e GambardelIa - rifletta le coordinate spazio-temporali del ferimento, non vi sono seri motivi, per dubitare che questo sia accaduto nel momento e nel punto in cui fin dal primo interrogatorio Chiarieri disse di averlo subito, cioè mentre si trovava al centro dell'incrocio sopra ricordato. Al contrario, un. riscontro preciso della veridicità delle parole degli imputati proviene dalle considerazioni del perito tecnico ing. Mengoli (pag. 59 dell'elaborato) circa l'anomalia della direzione di marcia puntata, in quel tratto, verso l'angolo dell'edificio, ciò che secondo lo stesso perito convaliderebbe l’ipotesi che l'autista avesse abbandonato con entrambe le mani il volante; direzione che è estremamente improbabile fosse stata assunta deliberatamente, atteso che sull'angolo vi erano ostacoli fissi (paline di segnaletica stradale) contro i quali non è pensabile che Chiarieri volesse avventarsi, quand’anche intenzionato a salire sul marciapiede; direzione, la cui anomalia è efficacemente rispecchiata dalla deposizione della parte lesa Dario Signorini (C/4, f. 68 retro; precisazione toponomastica al primo dibattimento, f. 15 del relativo verbale dattiloscritto), che ebbe addirittura la sensazione che l'autocarro si disponesse a imboccare viale Premuda (90° a sinistra) anziché corso XXII Marzo; direzione, che
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rista che vi si trovava, corresse con una manovra tanto brusca da far percepire all'altra parte lesa Fulvio Beltramo Ceppi (C/3, f. 10) dopo la “curva netta" (evidentemente verso viale Premuda) la accentuata inclinazione centrifuga - o coricamento - dell'automezzo sulla sinistra all'atto in cui questo controsterzò verso la carreggiata sinistra di corso XXII Marzo. Rilievi, questi, che a un sereno esame non possono non apparire come inequivocabile conferma dell'intervento di fattori esterni di turbamento nella conduzione del veicolo, altrimenti irrazionale pur alla stregua dell'ipotesi di un deliberato imbocco della carreggiata sinistra; e che, saldandosi con le risultanze peritali e con le versioni degli imputati, consentono di individuare quei fattori precisamente nelle lesioni subite da Chiarieri, accompagnate dalla violenta scossa alla struttura ossea del capo e dal vivo dolore conseguente alla frattura.
Se tutto questo è vero, ne discende che il tratto di marcia che Chiarieri compì dal centro dell’incrocio fino quasi all’angolo del marciapiede sinistro ebbe come antecedente fattuale il ferimento; il che significa che - come sopra si è accennato - la divergenza dalla linea di marcia centrale ha una propria ragione sufficiente, almeno in quel tratto, oltre la quale sarebbe pretestuoso ricercare altri fattori determinanti e, in particolare, ipotizzare una cosciente deliberazione di spostamento a sinistra, rientrando nell’ordine delle cose che un colpo alle ossa facciali tanto forte da provocare una frattura, accompagnato da un altro colpo alla cervice e dalla contemporanea accensione di un ordigno incendiario al lato opposto dell’automezzo, determinasse nel conducente una fase di incolpevole perdita di controllo dei movimenti propri e del mezzo, quanto dire un’intermittenza nella volontà cosciente (così anche il perito prof. Farneti, pag. 27-28 della sua relazione).
Il problema, tuttavia, della responsabilità di Chiarieri per l’investimento del giovane Zibecchi, non è ancora risolto. Dalla minuziosa relazione del perito ing. Mengoli, sul cui contenuto non è mai stata sollevata obiezione da alcune parte, e che concorda con le descrizioni dei testimoni oculari; emerge che l’autocarro, evitando il ciclomotore sull'angolo, piegò a destra, proseguì per alcuni metri nella carreggiata sinistra con andatura lievemente diagonale verso il centro strada, poi piegò nuovamente a sinistra salendo sul marciapiede in corrispondenza del passo car
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sfiorando i tendoni dei negozi, ne discese 7-8 metri prima di un orologio elettrico accingendosi a tagliare in diagonale la carreggiata, e in quel punto travolse Zibecchi che con altri dimostranti spaventati fuggiva dal marciapiede verso il centro della strada, lo sorpassò e rientrò quindi nel “serpentone” all'incirca all'altezza dell'angolo di via Cellini (cfr. planimetria all. 47 alla relazione di perizia). La velocità dell'automezzo è stata, con accurati calcoli, determinata al momento dell'urto come non superare a 35 km/h, pari a 9,7 m/ s (pag.38); risultato, questo, che non discorda da quanto dichiarato dall'imputato, e che va raccordato anche all'approssimativo calcolo della velocità degli altri mezzi della colonna, operato sulla base delle riprese cinematografiche, in circa 26 km/h (pag. 23). Spiega, ancora, il perito che dal momento in cui Chiarieri imboccò corso XXII Marzo al momento dell'investimento passarono circa 9 secondi (pag. 59), e che la fase culminante dell’incidente si innescò e si chiuse in poco più di mezzo secondo (pag. 46), tempuscolo insufficiente per una qualsiasi manovra di emergenza, in quanto Zibecchi stava correndo probabilmente verso via Cellini quando decise repentinamente di scendere dal marciapiede, venendo investito a m 4,30 dal bordo del medesimo (pag. 44).
Ora è indiscutibile che, come i periti hanno affermato, durante tutto il percorso successivo al primo sbandamento verso l'angolo di entrata di corso XXII Marzo, l'autista ebbe il controllo fisico dell’automezzo, e che non poté venire coadiuvato dal capomacchina Gambardella, perché la conformazione interna della cabina e la pesantezza dello sterzo non permettevano un utile intervento di quest’ultimo; ed è anche indiscutibile che, dal punto di vista del puro e semplice pilotaggio, tutta la manovra fu condotta con una certa dose di razionalità, perché Chiarieri dovette rendersi conto - sebbene non sia mai stato in grado di narrarlo - che l'autocarro, dopo la prima controsterzata verso destra, non poteva rientrare nel “serpentone” a causa del salvagente di fermata dei tram che -per ben 49 metri ne impediva l'accessibilità, sicché, preparandosi a superare il cordolo del "serpentone" con un angolo d'incidenza sufficiente per assicurare il salto, si allargò prima verso sinistra e poi lasciò il marciapiede in corrispondenza della fine del salvagente
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Senonchè, ciò non basta
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che il Chiarieri possedeva, o avrebbe dovuto possedere piena lucidità mentale durante tutto quel percorso; lucidità, che costituisce il presupposto per ascrivere all'autista la responsabilità colposa dell'accaduto sotto il profilo di non aver valutato che la sua irruzione sul marciapiede avrebbe potuto gettare il panico tra i dimostranti innescando  anche tentativi di salvataggio irrazionali e improvvisi, come quello  portò Zibecchi a scendere dal marciapiede anziché  schiacciarsi come altri contro il muro o ripararsi dietro l'angolo di via Cellini.
Nella loro relazione congiunta, alle pag. 60 e seguenti i periti ing. Mengoli e prof. Farneti hanno affrontato il problema, domandandosi "dal momento in cui il Chiarieri è stato sicuramente in grado di controllare la guida del suo automezzo... quali possono essere state  le condizioni fisico-psichiche del Chiarieri stesso e se tali condizioni fisico-psichiche abbiano potuto influire sulla configurazione e sul tipo di percorso poi attuato”. E il perito medico legale si è prospettata l’ipotesi che dopo aver abbandonato con una o entrambe le mani il volante dell'autocarro il Chiarieri, di fronte a un ostacolo o sollecitato, dalla presenza dello stesso, sia stato capace di riprendere la guida dell'automezzo pur persistendo lo stato di smarrimento, forse anche di “stordimento”, prodotto dalle lesioni sofferte - in particolare il trauma facciale - e che pertanto siano intervenuti, nell’effettuare il percorso, automatismi riflessi frutto dell'esperienza e dell’addestramento alla guida" (pag. 62). Riguardo a questa ipotesi il perito, senza nascondersi l’attendibilità anche dell’ipotesi, avvalorata dalla razionalità del percorso attuato, che il Chiarieri sia sempre rimasto padrone della guida, ha osservato che la potenza muscolare necessania per condurre l'autocarro lungo la traiettoria descritta fu "di entità relativamente modesta e compatibie con la condizione patologica costituita dal dolore e dall’eventuale stato di stordimento conseguiti al trauma facciale e alla contusione latero-cervicale destra"; e, in definitiva, ha concluso che "non può dichiarare, né in via certa né in via di probabilità, se tale traiettoria sia stata realizzata dal conducente trovandosi questo in uno stato di smarrimento, di stordimento momentaneo – e quindi in virtù unicamente di automatismi riflessi - o se invece quella traiettoria sia stata realizzata trovandosi il conducente ad avere la piena e completa padronanza dell'automezzo" (pag, 64-65).
La perplessità non superata dai periti, e in particolare dal perito medico-legale, è anche del Tribunale; che reputa di dover dare il giusto peso anche allo stato sub-confuso che fu riscontrato nel Chiarieri quando giunse all'Ospedale militare, e alla testimonianza del dott. Guido Forlanini, allora medico del III Battaglione, oggi civile, che notò che il Chiarieri "non era svenuto ma era psicologicamente assente" (C/4, f. 58 retro), "intontito" (primo dibattimento, pag. 62 del verbale dattiloscritto). Osserva ancona il Tribunale che non è realisticamente prospettabile un'alternativa netta tra stato di coscienza e stato di incoscienza, ma, al contrario, tra l'uno e l'altro vi è tutta una gamma di stati intermedi di lucidità più o meno attenuata, di reattività a determinati stimoli piuttosto che ad altri; nell'ambito della quale non può affatto escludersi che il soggetto, parzialmente obnubilato da un fattore idoneo a provocare una violenta scossa emotiva, compia correttamente determinati gesti che gli sono familiari per abitudine e per professionalità, e tuttavia non sia in grado di prevedere compiutamente quali ne possano essere le conseguenze ultime. Il vivo dolore, la tensione esterna dell'episodio di guerriglia, l'ansia di non perdere i contatti con l'autocolonna della quale faceva parte, la responsabilità che su lui gravava di trasportare il veicolo o i numerosi uomini che vi si trovavano fino alla destinazione, il timore di fermarsi in mezzo a una folla minacciosa che avrebbe potuto circondare i militari e aggredirli prima che si disponessero in formazione, sono altrettanti fattori che irrompendo tumultuosamente nell'animo del giovanissimo carabiniere possono aver contribuito a prolungare in uno stato affannoso di crepuscolarità l'iniziale scossa e a impedirgli di recuperare, nei pochi secondi (non più di 9-10) trascorsi dal trauma facciale fino all'attimo dell'investimento, la lucidità sufficiente per concepire e mandare a effetto manovre che non fossero dettate soltanto dall'istinto di autoconservazione, ma anche dalla preoccupazione etica giuridica di rispettare l'incolumità altrui.
Nell'impossibilità di sciogliere con una risposta attendibile il dubbio sul livello e sull'ampiezza dello stato di coscienza del Chiarieri, il Tribunale ritiene di non poter giungere né ad un’affermazione di responsabilità, che presupporrebbe come certo il possesso della piena capacità di comprensione e di autodeterrninazione negli attimi che precedettero l'investimento, né a un'assoluzione piena, che a sua volta presupporrebbe la certezza che i fattori causali sopra ricordati abbiano con l'irresistibilità della forza maggiore inciso negativamente nel dinamismo psichico dell'imputato. Sergio Chiarieri deve, pertanto, venire assolto per insufficienza di prove dal reato ascrittogli.
 Per quanto concerne, infine l'imputato Gambardella, sul conto del quale già si è detto come non possa egli ritenersi responsabile di ordini che non è provato siano stati impartiti, vi è da rilevare che, seduto alla sinistra del conducente, egli non avrebbe avuto la possibilità di intervenire concretamente - secondo l'opinione espressa anche dai periti - sulle modalità di conduzione dell'autocarro nella fase cruciale. Compito dell'ufficiale capomacchina, d’altronde, non è certo quello di attuare improbabili manovre sui comandi del mezzo sovrapponendosi materialmente al conducente; e, nell’eccezionalità della congiuntura verificatasi, e nell'arco di secondi di cui si è più volte ricordata la brevità, non si scorge quale comportamento omissivo o commissivo gli si possa rimproverare sotto il profilo della cooperazione o del concorso causale nella determinazione dell'evento di cui fu vittima Giannino Zibecchi. Egli pertanto va assolto dall'imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto.
P.Q.M.
Il Tribunale, letto l'art. 79 c.p.p., assolve  Gonella Alberto e Gambardella Alberto dai  reati loro rispettivarnente ascritti per non aver commesso il fatto. Assolve Chiarieri Sergio dal reato ascrittogli per insufficienza di prove.
Milano, 28 novembre 1980.

Il presidente, estensore:
f.to Francesco Saverio Borrelli

Il Direttore di Sezione di Cancelleria
f.to Lucia Fasoli

Sentenza impugnata con ricorso di cassazione da Carlo Zibecchi, Roberto Giudici, Fulvio Beltramo Ceppi il giorno 1.12.80
f.to il Cancelliere.
 

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Intervista del 1995 a Claudio Sabelli Fioretti – Direttore di ABC nel 1975 https://pernondimenticare.net/documenti/interviste/303-intervista-del-1995-a-claudio-sabelli-fioretti-direttore-di-abc-nel-1975 https://pernondimenticare.net/documenti/interviste/303-intervista-del-1995-a-claudio-sabelli-fioretti-direttore-di-abc-nel-1975
Intervista del 1995 a Claudio Sabelli Fioretti – Direttore di ABC nel 1975 

altD -Puoi ricostruire il clima degli anni ’70 dal punto di vista dell’informazione?
R- C’era una certa contrapposizione nel senso che la scelta di campo era qualche cosa che segnava. Io lavoravo in quei tempi a Panorama, avevo iniziato nel ’69 a Panorama, il quale passava addirittura per essere un pericoloso organo di controinformazione e pensa che il direttore era Lamberto Sechi, un tranquillo signore che oggi diremmo liberal-democratico. Infatti la vera controinformazione si faceva nel Bollettino di Controinformazione Democratica. Stetti 5 o 6 anni a Panorama e poi ebbi l’occasione di cambiare di andare in un giornale un po’ più radicale. Questo definisce un po’ il clima di quei tempi.
Oggi come ieri, gente come me sentiva il bisogno..allora avevo 30 anni, oggi ne ho 50…si sentiva il bisogno di uscire dall’equivoco della stampa, tra virgolette borghese e chiudersi in una nicchia un po’ più  protetta in cui ci si guardasse tra amici in cui non si dovesse più fare mediazione, troppa mediazione. Li, mi ricordo, c’erano alcuni giornalisti, Marco Nozza, Marco Fini che facevano un po’ di informazione accettabile, sicuramente accettabile, intendo nel clima…D’altra parte calcola che siamo agli inizi, ai timidi inizi del terrorismo. Non era ancora come sarebbe diventato dopo, però cominciava a diventare difficile essere di sinistra: Come oggi, se tu dici che sei per prodi sei “uno sporco comunista”…è incredibile questa parola che riciccia dopo 20 anni come offesa riferita a gente…Prodi comunista…persino Dini
D- Veniamo ad ABC che tu dirigevi: che giornale era?
R- ABC, ve lo ricordate tutti è stato un giornale che era una grande bandiera della rivoluzione del costume ed anche delle lotte civili. L’editore era Cardella, che oggi si occupa di tossicodipendenza, il leader della comunità che è stata quella di Rostagno, Saman, mi chiamò, ricordo che vendeva 15.000 copie, una cosa quasi inesistente. Io deciso di spostarlo completamente: togliemmo ogni residuo di culi e di tette, lo portammo obbiettivamente molto a sinistra e…nella redazione c’era, non o, Audino, ricordate Savelli editore, c’era Lidia Ravera, c’era Guido Passalacqua, tutta gente più o meno legata a Lotta Continua..e questo spostamento a sinistra, facendo una roba serissima, alla Panorama però di sinistra, proprio di sinistra tosto, grandi inchieste sull’Autonomia operaia, documenti di Curcio come piovesse, avemmo addirittura una perquisizione della polizia perché il giorno stesso che Curcio scappò da Casale Monferrato, noi pubblichiamo un documento di Curcio. Al di là della follia di pensare che Curcio esce dal carcere e la prima cosa che fa viene ad ABC a portarci un documento,  ce lo avevamo già da tempo, potevano pensarlo, lo pensavano. Le tentavano tutte..distribuendo volantini fuori dalle caserme che invitavano alla diserzione, fu una cosa ignobile…e il risultato fù che in breve tempo da 15.000 copie passammo rapidamente a 12.000/13.000 copie. Il giornale era obbiettivamente brutto, dal punto di vista grafico era brutto, politicamente era molto spinto…però cominciava pian piano a farsi riconoscere
D- All’indomani dei fatti del 16 e 17 aprile, ABC uscì con 2 numeri, prima un numero speciale poi un’altra edizione con una denuncia molto dura nei confronti delle forze dell’ordine e dei fascisti, ci racconti i retroscena di quel numero e come arrivarono in redazione le notizie?
Copertina ABC Aprile 1975R- Avevo appena conosciuto un giovane giornalista, collaboratore di Panorama, Sergio Frau, che oggi lavora alla Repubblica , firmammo il contratto e lo mandammo a seguire la manifestazione, questa grande manifestazione che sarebbe poi sfociata…erano già successi degli incidenti, era già morto Varalli, era il 17 aprile e lo mandammo a seguire questa manifestazione. Lui vide la manifestazione, vide gli incidenti , che cosa successe e dopo le fotografie saranno abbastanza chiare: Infatti noi pubblicammo anche la sequenza dei camion presa da un fotografo che stava dall’altra parte della piazza: le fotografie sono sempre cose ferme, ma lui era  lì, lo scrivemmo, era talmente grossa la cosa che decidemmo di fare uno speciale. Il giorno dopo c’era un’enorme manifestazione e noi facemmo una edizione speciale con le fotografie degli incidenti. I quotidiani non mettevano le fotografie proprio a quei tempi, i settimanali aspettavano e noi uscimmo il giorno dopo con le fotografie degli incidenti in cui si capiva benissimo tutto. I titoli erano…non vorrei sbagliare ma erano “Varalli assassinato dai fascisti, Zibecchi assassinato dai carabinieri”. Il risultato fu una grande penetrazione nel mondo della sinistra, per la prima volta si capì che ABC era qualche cosa di diverso da quello che uno pensava. Fù incredibile vedere questa marea di giovani, di operai, di gente incazzata  tutti quanti con in mano il nostro giornale. Dopo 3 giorni uscì il numero normale,  nel frattempo c’erano state le dichiarazioni del ministro dell’interno che era Gui allora, che diceva che non era stato sparato neanche un colpo: Frau, che era il nostro lì e aveva visto i poliziotti sparare e poi c’erano stati anche dei fotografi…noi pubblicammo in prima pagina le foto dei poliziotti che sparavano…
D - ..con il titolo “le menzogne di Gui”..
R- sì, “le menzogne di Gui”. Il giornale esce, ora non ricordo il giorno, mettiamo che esca lunedì, martedì ci hanno chiuso!
D- Si è trasferito qualche cosa di questa esperienza, di questa informazione…da ABC a Cuore?
R- ma io direi che c’è tutto nel senso che…io vedo una tale analogia con quei tempi…se devo essere sincero considero più rischiosi questi, oggi…oggi che se non stiamo attenti qualcuno ci toglie tutto. Oggi sento più di allora l’esigenza di vivere in un giornale che, non dico ..allora si diceva fare controinformazione, oggi basta dire informazione, oggi poca gente fa informazione: Oggi è più importante non fare più mediazioni, non fare più collusioni,..cercare di mettersi d’accordo. Oggi bisogna stare da una parte o dall’altra, rispettabilissimo anche chi sta dall’altra parte, però non bisogna più fare confusione.
Per questo mi sento come all’ora ad ABC, devo dire mi sento meglio, ABC vendeva 15.000 copie, qui ne vendiamo 80.000……….
 

 

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info@pernondimenticare.net (enzo) LE INTERVISTE Sun, 05 Apr 2009 17:00:56 +0000