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Sotto il cielo di aprile PDF Stampa E-mail

Pubblichiamo l'introduzione del nuovo fascicolo che abbiamo stampato quest'anno in occasione dell'anniversario della morte di  Claudio Varalli e Giannino Zibecchi

 Si parte dal ricordo di due giovani.
Nel 1995, in occasione del ventesimo anniversario dell’uccisione di Claudio Varalli e di Giannino Zibecchi, abbiamo stampato un libretto che aveva uno scopo molto preciso. Accanto al ricordo degli avvenimenti – due giovani assassinati da fascisti e carabinieri in una fase di scontro sociale molto acuto – volevamo raccontare la dimensione umana di queste due persone, non soltanto quella politica. Perché Claudio e Giannino erano due giovani con tanta voglia di vivere e di divertirsi che non impediva, anzi si integrava perfettamente con la dimensione politica della loro vita e quindi con un impegno molto coinvolgente.
Perché riproporre oggi, anche se in termini decisamente diversi, questa operazione quasi vent’anni dopo?
I motivi sono tanti, ma uno è di gran lunga il più importante. In questo ultimo ventennio è stata portata avanti con perfida tenacia un’operazione di ampio respiro che prende le mosse dalla denigrazione della Resistenza e il suo ridimensionamento come tappa fondante dei valori della nostra società per tentare una parificazione di tutti quanti combatterono in quegli anni: i partigiani e i repubblichini, chi ha versato il sangue per riconquistare la libertà e chi ha torturato, massacrato e contribuito all’Olocausto. Questa campagna revisionista e negazionista vuole cancellare la spinta a rinnovare la società, vuole convincere che tutte le idee hanno uguali diritti di esistere e che la contrapposizione tra fascismo e antifascismo è anacronistica.

Non la pensavano così Varalli e Zibecchi e tutte quelle persone che, dal dopoguerra a oggi, hanno sacrificato la loro vita per difendere la democrazia dai

tentativi di svuotarne il reale significato e da quelli di rovesciarla. Tutti coloro che, a democrazia riconquistata, sono stati uccisi dalle forze dello stato o dai loro servi fascisti: quelli che chiamiamo a buon diritto i caduti della Nuova Resistenza.
Il terribile rischio che corriamo oggi è che questa campagna revisionista faccia presa sulle giovani generazioni, perché è passato tanto tempo e non c’è più la possibilità di crescere nel contatto con chi quella stagione l’ha vissuta. Diventa allora più che mai necessario raccontare, creare interesse, accendere curiosità. Non basta – anche se è necessario – tenere vivo il ricordo di chi ha combattuto ed è morto per gli ideali di giustizia sociale e di progresso. È fondamentale raggiungere i giovani per offrire una sponda, un aggancio che favorisca le connessioni tra passato e presente per “concimare” uno con l’altro. Già negli anni Cinquanta in Italia abbiamo vissuto una terribile fase di regressione politica. La stagione della lotta di Liberazione era ormai archiviata, il regime democristiano aveva emarginato le forze della sinistra e nell’intero paese era avviata una fase di restaurazione che si sviluppava su due binari principali: archiviare la Resistenza e la sua spinta propulsiva per una società di uguali e instaurare nei luoghi di lavoro un clima di ferreo controllo limitando l’attività del sindacato e terrorizzando i lavoratori con la minaccia di licenziamento.

Stretta economica e riduzione dei diritti.
Come si vede le analogie con quanto stiamo vivendo oggi sono vistose, per questo va fatto ogni sforzo perché i giovani siano consapevoli di quanto avvenuto nei decenni scorsi e della necessità della battaglia antifascista oggi. L’antifascismo non è un esercizio marginale e obsoleto, è un aspetto irrinunciabile della battaglia per i diritti dei lavoratori e di tutti i cittadini. Non dimentichiamo che quando si vivono profonde crisi economiche il rischio è che il risultato sia una compressione dei diritti fondamentali. Questo ci insegna la storia, è già avvenuto e potrebbe succedere ancora e in queste situazioni i gruppi della destra estrema svolgono sempre un ruolo da non sottovalutare: di provocazione e aggressione fisica, ma anche di propaganda ingannevole, puntando su unpopulismo reazionario che può trovare terreno fertile tra chi non vede prospettive per il futuro, preparando così il terreno per svolte autoritarie.
Per tutti questi motivi pensiamo che ricordare ognuno dei caduti della Nuova Resistenza significhi contribuire a creare un tessuto di conoscenza condivisa che è decisivo per combattere contro l’offensiva economica e politica che sta mettendo in ginocchio il paese. Fare conoscere a quante più persone le personalità di Claudio Varalli e di Giannino Zibecchi aiuta a rafforzare la coscienza sociale e antfascista.

Gli anni Settanta sono stati caratterizzati della grande spinta delle forze di sinistra per cambiare in profondità la società, conquistando diritti e spazi decisionali importanti: nei luoghi di lavoro, nella scuola, per le donne, in modo trasversale nella società. Il blocco di potere ha spesso risposto con la repressione più feroce opponendo i blindati e le armi per spezzare un movimento largamente diffuso nel paese. E purtroppo la tattica ha avuto successo, complice anche la stagione del terrorismo che ha tolto la voce al popolo e ha dato fiato alle manovre paragolpiste dei governi infiltrati dalla P2. Comincia così un periodo buio per i movimenti progressisti, le parole d’ordine finora condivise perdono presa, intanto il mondo viene stravolto completamente dalla fine del comunismo e si fa strada l’idea che i conflitti sociali sono finiti: il nuovo ordine – salvato dalla contrapposizione capitalismo-comunismo – svilupperà economia e società per il bene di tutti.
Le fasi di stordimento possono durare anche a lungo, ma poi alla fine ci si sveglia e si capisce che affidarsi mani e piedi al pensiero unico liberista porta soltanto a esasperare le diversità sociali all’interno dei singoli paesi e ad aumentare a dismisura le disparità tra paesi cosiddetti evoluti e paesi sfruttati. Il feticcio della globalizzazione appare nella sua misera realtà: pochi sempre più ricchi e tanti sempre più poveri, nello scacchiere internazionale e in ogni singolo paese. E con lo spettro della guerra a oscurare il cielo del mondo.

Nasce così il movimento contro la globalizzazione che dopo tanti anni di letargo riesce a mobilitare milioni di persone in tutto il mondo, e non solo giovani. Si mette in discussione la logica dell’accumulazione del potere e delle risorse economiche, finanziarie e naturali nelle mani di pochi per decidere – dall’Amazzonia alla Serbia – chi e cosa debba produrre e a quanta ricchezza abbia diritto. A partire da Seattle il movimento dilaga in tutto il mondo e mette insieme pezzi sparsi della sinistra, intellettuali, parti importanti del mondo cattolico, ma soprattutto milioni di giovani. Un movimento troppo pericoloso per essere lasciato libero di crescere. E infatti a Genova, in occasione del G8, si chiude idealmente il secolo – anche se siamo già nel 2001 – con la repressione di massa più feroce e disumana che si ricordi, nella quale viene ucciso Carlo Giuliani. Un colpo mortale alla voglia di partecipare di un’intera generazione.

La repressione terrorizza e chiude le bocche, ma le conseguenze delle politiche di rapina economica e sociale non cessano di manifestare i loro effetti. E prima poi qualcuno riprende in mano il filo della ribellione. Stavolta, dopo qualche anno, il collante è la difesa del proprio territorio e dei beni comuni, a cominciare dall’acqua: elemento primario ed essenziale, il cui diritto è spesso negato in vaste aree del pianeta, che i governi del mondo globalizzato vogliono fare rendere economicamente come qualsiasi altra merce di scambio. Sembra di rivedere la generazione di Seattle che riscopre la voglia di battersi, promuovendo mobilitazioni di massa capaci di spostare equilibri con una forza difficilmente immaginabile solo qualche anno prima. E questa capacità di mobilitazione, che oggi in Italia trova nuova e grande forza nella battaglia contro l’Alta Velocità in Val di Susa, si nutre di nuove strategie e alleanze, misurando la propria energia contro una vera e propria militarizzazione del territorio.

Ma allora perché mettere insieme storie così diverse come quelle di Varalli e Zibecchi, Carlo Giuliani e di chi lotta per l’acqua pubblica e per difendere il proprio territorio? Perché la storia di chi si batte per i diritti dei più contro i potenti di turno è fatta anche dalle facce di chi è rimasto schiacciato dagli ingranaggi spietati della repressione. Claudio, Giannino, Carlo e tutti quanti hanno dato la vita per ideali di giustizia e democrazia sono un pezzo di quella storia, o meglio del tentativo di cambiarla e farla girare dalla parte dei deboli. Ricordare questi giovani è seminare e concimare il terreno per fare del nostro paese un posto dove valga la pena di vivere, oggi e non solo domani. Dove si possa essere liberi dal fascismo, dalla democrazia protetta, dal liberismo, per vivere in una società dove ognuno abbia uguali diritti e opportunità.


 
 
 

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