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Come mai il PD ha abbandonato Del Turco? PDF Stampa E-mail
BLOG - NEWS
Venerdì 07 Maggio 2010 14:32

Ottaviano Del Turco, allora presidente della Regione Abruzzo, viene arrestato il 15 luglio 2008 con l’accusa di concussione. I magistrati di Pescara dichiarano che contro di lui ci sono prove schiaccianti; ma le successive indagini non hanno consentito di trovare un solo euro sospetto in conti italiani o esteri.

Gli addebiti mossi a Del Turco si basano, fondamentalmente, sulle parole del “pentito” Vincenzo Angelini, il quale avrebbe documentato, momento per momento, l’intera procedura della “dazione” del denaro: senza mai registrare tuttavia l’atto della consegna e l’identità del beneficiato; e senza che esista una sola intercettazione che accusi Del Turco. Poi, due fatti significativi: 1) un rapporto dei carabinieri nel quale si legge che Del Turco avrebbe tagliato fondi per 43ml di euro alle cliniche del suo accusatore a causa delle truffe da lui realizzate; 2) lo stesso Angelini viene arrestato. Questo rende ancora più fragile l’impianto accusatorio contro Del Turco.

 

Del Turco è stato uno dei “soci fondatori” del Pd e, ora, lamenta di essere stato abbandonato da quello che considerava il suo partito e critica la formula, “lasciamo lavorare i giudici”. E aggiunge: “quando certe decisioni incidono pesantemente, si sfiora la complicità”.

In effetti, il "caso Del Turco" si presta a alcune considerazioni collaterali al "garantismo" del PD.  1): La sindrome dell’Antipatico. Del Turco non è simpatico. Ma proprio questo dovrebbe rendere più limpido il garantismo nei confronti di chi é antipatico o addirittura inviso (come il presidente del Consiglio). Del Turco, poi, è stato un sindacalista riformista e continua a dirsi socialista. Due elementi non particolarmente apprezzati da molta sinistra  2) Del Turco non é un demagogo. L’ex governatore ha impostato l’intera difesa in termini esclusivamente giuridici, con una meticolosa attenzione, indirizzata tutta all’intransigente tutela delle forme e delle garanzie e totalmente concentrata sul rispetto delle regole procedurali. Mai ha gridato al complotto e mai ha enfatizzato la propria condizione di “vittima”. Questa gestione “fredda”, che non “la butta in politica”, ha sottratto a Del Turco anche i più esili motivi di partecipazione emotiva; 3) Del Turco lasci lavorare i magistrati. È un invito apparentemente saggio ma nei fatti pericoloso. Il processo penale vive tutt’ora una condizione di disparità tra le parti, tanto più nelle fasi precedenti il dibattimento. Pertanto, quella frase (“lasciamo lavorare i giudici”) esprime rispetto per la magistratura e mostra sensibilità verso la divisione dei poteri, ma rischia l’ipocrisia. Può essere scambiata per indifferenza e subalternità verso decisioni che, come tutte le scelte umane, sono fallibili e quindi criticabili. Dunque, nel pieno rispetto delle responsabilità di ognuno, la discussione anche sui singoli atti della magistratura deve potersi sviluppare liberamente, quando non si esprima come ingiuria, aggressione, delegittimazione. Anzi, quella critica può essere utile: in un moderno stato di diritto, nessuna istituzione deve considerarsi sottratta al pubblico controllo e, tanto meno, deve trasformarsi in un totem inaccessibile o in un santuario intangibile.

 Il che andrebbe a vantaggio, in primo luogo, della stessa magistratura. E, invece, la grandissima parte della sinistra e del Pd ha ignorato tutto ciò: preoccupata di non venire lambita e compromessa dalla vicenda giudiziaria di un proprio esponente di prestigio, l’ha lasciato solo. Così facendo ha danneggiato Del Turco e contribuito ad abbassare gli standard di tutela dei diritti individuali nel processo penale.

30 aprile 2010